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Biden e Erdogan a Ankara durante la visita ufficiale dell’allora vicepresidente di Obama in Turchia

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Due destini si incrociano, ancora una volta. La Borsa liquida Trump mentre Erdogan l’affossa. Biden, sostenuto dai big di Wall Street (che hanno investito in Cina) fa volare le Borse. Erdogan licenzia prima il capo della banca centrale poi il genero Albayrak si dimette da ministro delle finanze.

La lira turca in un anno ha perso il 30% del suo valore su euro e dollaro con un’economia fortemente indebitata in valuta. Il cambio alla Casa Bianca non è una buonissima notizia per gli autocrati, dalla Russia alla Turchia, alla Cina alla Corea del Nord: gli Usa, pur con enorme fatica, tornano a fare gli Stati Uniti, cioè il maggiore punto di riferimento politico mondiale, questo potrebbe non piacere troppo a regimi sotto ferreo controllo.

Del resto le cifre già parlavano chiaro alla vigilia del voto, che ha pur sempre ha assegnato a Trump il 46% dei consensi. Biden ha ottenuto contributi per un miliardo di dollari, dalla California e Wall Street, oltre che molte piccole donazioni, Trump 600 milioni. Il maggiore contributore di Trump è stato Sheldon Adelson, di Biden Bloomberg. Ma Biden ha ottenuto appoggio finanziario anche da alcuni hedge fund e soprattutto gode il favore delle quattro big di Wall Street, Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley e Black Rock, che hanno puntato molto sulla Cina.

Lo raccontavo proprio il 13 ottobre sulle colonne del Quotidiano del Sud. La JP Morgan sta completando un’operazione da un miliardo di dollari per acquisire il pieno controllo del China International Fund Management. La Goldman Sachs si prepara a essere la prima banca d’investimento straniera a essere operativa sul mercato cinese. La Morgan Stanley ha preso il controllo di maggioranza della società di investimento azionario che tempo fa aveva aperto sul mercato cinese. La Citigroup si è assicurata la licenza per essere la prima banca straniera operativa e di credito sul territorio della repubblica popolare. Anche Blackrock, società di investimento gigantesca con oltre seimila miliardi di dollari di patrimonio e definita la più grande e influente “banca ombra” del mondo, ha ormai il pieno controllo del suo fondo di investimento cinese e si prepara ad aprire a Shangai un nuovo quartier generale.

Dopo tutta la retorica avvelenata anti-cinese di Trump e i dazi imposti a Pechino, Wall Street è sbarcata in Cina con le sue punte di diamante.

Non doveva essere Pechino una minaccia esistenziale per l’economia Usa? La verità è che i cinesi hanno in parte abbassato le barriere e ora stanno arrivando le grandi banche, i fondi di investimento e le assicurazioni internazionali che promettono di rendere ancora più compenetrata l’economia mondiale con quella della repubblica governata dal partito comunista e dal suo leader Xi Jinping. Ovviamente tutti puntano sulla crescita del mercato cinese e l’ascesa della sua classe media, sulla necessità di sviluppare nuovi sistemi assicurativi e pensionistici. E soprattutto la Cina ritiene che avere amici ai “piani alti” e a Wall Street possa diventare un rilevante strumento di soft power per allentare le tensioni geopolitiche.

E passiamo da chi va bene, Biden a chi va male, molto male. Erdogan, l’autocrate che oggi crea più problemi agli europei e alla Nato, ha invece il fiato corto. Il leader turco ha scoperchiato di nuovo il vaso di Pandora della contrapposizione tra l’Occidente e il mondo musulmano che si presta a strumentalizzazioni di ogni genere: questo è quello che vorrebbe Erdogan impegnato su tre fronti di guerra, Siria, Libia, Nagorno Karabakh, nella crisi esplosiva nel Mediterraneo orientale, e dibattuto da gravi difficoltà economiche e sociali in patria.

Non è questo un aspetto trascurabile: la Turchia è indebitata con le sue imprese per oltre 330 miliardi di dollari, in gran parte con banche europee, e gli investimenti americani sui bond turchi si sono volatilizzati. Tra i ricatti di Erdogan non c’è soltanto quello dei profughi sulle rotte dall’Egeo alla Libia (dove si è impadronito delle motovedette italiane) ma anche un possibile fallimento finanziario all’orizzonte. Lui vorrebbe che pagassero gli europei, che disprezza, ma sa che non lo faremo e ora rischia pure sanzioni della Ue per la violazione nell’Egeo delle zone economiche speciali di Grecia e Cipro.

Biden, che da vice di Obama andò in visita a Istanbul dal reiss turco, conosce bene Erdogan con cui è anche entrato in polemica in passato, non vede di buon occhio l’acquisto di missili russi S 400 da parte di Ankara e lo ha anche incalzato sulla questione curda. Ora i loro destini si incrociano di nuovo e per l’Italia e l’Europa il gioco si fa interessante.

Quindi si gioca la carta della mobilitazione del mondo musulmano. Si è sovraesposto con costose imprese militari e sollecita la solidarietà dei Paesi musulmani _ e non soltanto al solito Qatar _ per venirne fuori. Essendo Erdogan un membro della Nato, teoricamente nostro alleato e degli Usa, ma anche amico-nemico della Russia, il nodo del “grande malato” turco è forse insolubile. Ricordiamoci, pur con tutte le enormi differenze, che Saddam invase il Kuwait quando decise di non pagare più i debiti accumulati nella guerra all’Iran con le monarchie del Golfo e le banche occidentali.


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