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L’ultima nomina di Joe Biden è l’emblema dei fallimenti dei democratici degli anni di Obama e della Clinton, anni in cui lui era vicepresidente. Davanti al Senato nel 2015 il generale Lloyd J. Austin, comandante del Centcom, indicato da Biden come il nuovo capo del Pentagono, ammise di avere speso 500 milioni di dollari per addestrare e armare solo cinque miliziani siriani sui 15mila previsti per combattere l’Isis. Ammise anche che furono gettati al vento un miliardo di dollari nel piano per abbattere Assad dalla Giordania. Naturalmente i media mettono l’accento sul fatto che Austin è il primo afro-americano alla Difesa, come del resto Colin Powell, l’uomo delle menzogne sulle armi distruzione di massa in Iraq, fu il primo segretario di stato nero nell’amministrazione repubblicana di Bush junior.

Insomma il generale Austin sollevò l’irritazione ma anche l’ilarità degli americani nello scoprire una serie di fallimenti spaventosi degni una repubblica delle banane. Per la verità c’è molto meno da ridere pensando a tutti i disastri combinati nella regione. Per esempio la decisione del ritiro del contingente americano dall’Iraq: dopo avere distrutto un Paese con i bombardamenti e l’invasione del 2003 per abbattere Saddam Hussein, sulla scorta delle menzogne sulle armi di distruzione di massa irachene che non furono mai trovate, gli Stati uniti lo lasciavano al suo destino ben sapendo che non aveva i mezzi per stare in piedi da solo.

A onor del vero Austin sembra che fosse contrario a questa mossa ma si prestò poi ad assecondare la politica di Obama e della Clinton. Nel 2004 l’Iraq fu conquistato dall’ascesa del Califfato che dopo avere occupato Mosul, la seconda città del Paese, stava per prendere pure Baghdad: l’esercito iracheno era allo sbando e fu il generale iraniano Qassem Soleimani, con le milizie sciite, a salvare la capitale. Come è noto Soleimani è stato ucciso quest’anno da un drone americano a Baghdad. Ancora peggio fu quello che accadde in Siria dopo la rivolta del 2011 contro Assad. La guerra civile si trasformò presto in una guerra per procura e gli Usa, guidati dalla Clinton, diedero via libera a Erdogan e alle monarchie del Golfo tra cui il Qatar per appoggiare i jihadisti che avrebbero dovuto abbattere il regime. Come è andata a finire è noto: i jihadisti hanno invaso la Siria e poi condotto attentati in tutta Europa mentre Assad è ancora al suo posto con il sostegno dell’Iran e soprattutto della Russia di Putin.

Austin non va al Pentagono con le fanfare ma con alle spalle un fallimento storico, certo non solo suo ma di un’intera amministrazione di cui Biden era alla testa come vice di Obama. Inoltre non era neppure la prima scelta di Biden per questo incarico. La favorita iniziale per il Pentagono era Michéle Flournoy ma i liberal del partito democratico l’accusavano di essere troppo guerrafondaia mentre i neri si lamentavano di avere ricevuto pochi posti di rilievo. Il problema adesso è che la sinistra democratica voleva un civile alla guida del Pentagono per segnare una differenza con l’amministrazione di Trump che aveva designato Jim Mattis, generale molto noto per le sue campagne militari in Afghanistan e in Iraq. Per mettere Austin al Pentagono Biden avrà bisogna del “waiver”, una sorta di nulla osta del Congresso perché la legge richiede che ai militari di avere lasciato il servizio da almeno sette anni prima di fare il segretario alla Difesa e Austin si è ritirato soltanto nel 2016 per entrare nel board della Raytheon, il maggiore produttore di missili al mondo.

Austin andrà a fare squadra con gli “interventisti liberali, così li definisce il New York Times gli uomini e le donne di Joe Biden: dal segretario di Stato Blinken, nel 2011 favorevole all’intervento in Libia, alla specialista di droni Haines, capo dell’intelligence.

L’idea guida è soltanto in parte il multilateralismo ma soprattutto come far digerire agli europei interventi militari limitati degli Stati uniti contro Iran e Siria a sostegno di Israele, delle monarchie del Golfo, dell’Egitto, che sono i veri alleati degli Usa, non l’Unione europea, chiamata più che altro a non fare accordi con la Cina e ad accettare Erdogan sul fianco sud della Nato, che ci ricatta con i profughi e sul gas nel Mediterraneo orientale dopo essersi impadronito di mezza Libia.


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