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Xi Jinping

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La Cina è sempre più vicina ma ancora molto lontana da noi. Lo dicono le cifre e i fatti, insieme alle celebrazioni per il centenario del Partito comunista cinese con il discorso di Xi Jinping di grigio vestito come Mao, il padre fondatore del Paese.

Le cifre sono chiare. Lo scorso anno la Cina ha superato gli Usa ed è diventata il primo partner commerciale dell’Unione europea. Lo si rileva dalle statistiche sugli scambi commerciali internazionali di Eurostat. Il sorpasso è avvenuto in conseguenza di un aumento delle importazioni dalla Cina del 5,6%, per un totale di 383,5 miliardi di euro e un incremento delle esportazioni europee del 2,2% (202,5 miliardi di euro).

Parallelamente le importazioni dagli Stati Uniti sono diminuite del 13,2% scendendo a 202 miliardi di euro e le esportazioni hanno registrato una flessione dell’8,2%, attestandosi sui 353 miliardi di euro.

IMPOSSIBILE FARNE A MENO

Fare a meno di Pechino è impossibile, nel bene e nel male. Sulla scena internazionale la Cina è ormai una superpotenza, sia dal punto di vista economico che finanziario. È il primo partner commerciale della Ue e oggi, alla ricerca di un contesto stabile e giuridicamente sicuro, le imprese cinesi trovano nell’Europa la principale destinazione per i loro investimenti diretti esteri.

La presenza militare e politica internazionale della Cina è inoltre sempre maggiore in tutte le regioni del mondo. Di conseguenza, la sua evoluzione politica, economica e sociale è più che mai importante per l’Unione europea: presenta grandi opportunità, in particolare per la creazione di posti di lavoro e per la crescita in Europa, ma ovviamente anche grandi sfide, dalla concorrenza sleale in molti settori economici a quella della stessa sopravvivenza del pianeta.

Senza la collaborazione della Cina e del suo miliardo e mezzo di abitanti qui si rischia di morire soffocati. In quanto principale fonte di emissioni mondiale, la Cina – che contribuisce per un quarto alle emissioni globali di gas a effetto serra – è un interlocutore ineludibile nei negoziati sui cambiamenti climatici.

Ecco perché il discorso di Xi Jinping per il centenario del partito comunista cinese è inquietante. Il presidente cinese ha messo in guardia contro ogni tentativo di «opprimere la Cina». Il popolo cinese «non permetterà mai ad alcuna forza straniera di bullizzarci e renderci schiavi», ha detto. «Chiunque proverà a farlo sbatterà la testa sulla Grande Muraglia d’acciaio costruita con il sangue e la carne di 1,4 miliardi di cinesi», ha aggiunto.

LA SINDROME DA ASSEDIO

Insomma una visione per cui sembra che il mondo stia muovendo guerra alla Cina e che punti a infiammare i sentimenti nazionalisti. Si dirà che questa, in fondo, è la retorica che usano tutti i regimi del mondo: vero, ma i cinesi di oggi alla retorica fanno seguire anche i fatti.

A che cosa è dovuto questo discorso di Xi Jinping? Al fatto che si sente chiaramente sotto assedio, un assedio concertato dalla presidenza di Joe Biden, politico consumato, molto più efficace del predecessore Donald Trump nello scompaginare i piani di Pechino. Mentre c’è già stato il vertice tra Biden e Putin, non si parla ancora di un summit con Xi Jinping. I cinesi hanno subito mangiato la foglia. Nel caso in cui gli Stati Uniti riuscissero a mantenere aperto un canale duraturo con la Russia, e qualora Mosca e l’India dovessero avvicinarsi sempre di più, Washington potrebbe utilizzare strategicamente questi due Paesi in chiave anti Cina. A quel punto Pechino si ritroverebbe circondata, pressata da un lato dall’India e dall’altra dall’ambigua posizione russa.

La stessa evoluzione di alcune crisi regionali potrebbe mettere in difficoltà i cinesi. Basti pensare a un eventuale accordo a Vienna sul nucleare iraniano. L’Iran, sotto sanzioni finanziarie ed embargo dell’export petrolifero, è diventato uno dei maggiori fornitori di petrolio per Pechino che in primavera ha firmato con Teheran un accordo economico e di sicurezza della durata di 25 anni. E’ evidente che se va in porto il negoziato sul nucleare verranno tolte le sanzioni e gli iraniani si rivolgeranno sempre  più, per le loro transazioni economiche, all’Occidente e all’Europa, come del resto hanno sempre fatto in passato.

ANCHE I CINESI CAMBIANO

La sostanza è questa: noi diffidiamo dei cinesi e loro diffidano di noi. Come sempre. Ma non dobbiamo sottovalutare che anche i cinesi stanno cambiando.

Schiacciati dalla competizione e dalle aspettative delle proprie famiglie, i giovani cinesi nati dagli anni Novanta in poi sono cresciuti con l’idea di un futuro ideale costellato di successi, ma una volta entrati nel mondo del lavoro si scontrano con orari lunghi, mansioni che pretendono troppo a livello umano e una paga che non permette di vivere in una metropoli di prima fascia. Insomma, un alto livello di istruzione non garantisce migliori prospettive di carriera.

Nelle ultime settimane, sul web cinese si è diffuso un hashtag che promuove la filosofia del “tang ping”, dello “stare sdraiati”. Condiviso per lo più dai giovani, invita a non consumare, non lavorare e non comunicare. «Perché, ora che la Cina si è appena rialzata, i giovani si sdraiano?», si cominciano a chiedere i dirigenti cinesi. Vedremo se anche i cinesi cominciano pure loro a “lavorare con lentezza” (canzone e film sugli anni Settanta italiani): sarebbe una vera sorpresa.


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