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Governare l’Afghanistan vuol dire far piovere. In Afghanistan la terra per la siccità è diventata dura come la pietra e a poco serve lavorarla. Manca l’acqua per irrigarla ma anche quella da bere. Il resto viene da sé. I pascoli sono bruciati, le greggi sono alla fame e con loro milioni di afghani. Si stima che 18 milioni di afghani non riescano a mangiare tutti i giorni e che alla fine dell’anno il numero possa arrivare a 22 milioni. Ma qui si parla soltanto dei talebani e di quello che avviene nelle città.

Non c’è solo il caos politico in Afghanistan, c’è un Paese che sta morendo. La gente scappa dalle campagne sperando di trovare nelle città qualche cosa di cui nutrirsi: i profughi interni sono milioni. Non fuggono dai talebani, ma dalla fame. In un servizio di Euronews, viene intervistato Haji Khair Mohammad, un pastore nomade della provincia di Kandahar. Indica i suoi animali e dice che manca il cibo anche per loro: «Per questo sono magrissimi e non danno latte». Molti alla fine muoiono.

L’INTERVENTO FAO

Per conoscere l’Afghanistan bisogna andare nelle campagne. Circa il 70% degli afghani vive ancora nelle aree rurali e il 25% del Pil afghano è prodotto dal settore agricolo, il resto lo fa la coltura dell’oppio, visto che da qui viene l’80 per cento dei consumi mondiali di eroina.

Ma a parte il papavero, l’agricoltura resta il perno principale intorno a cui si sviluppa la vita economica del Paese, per questo la Fao ha deciso di sostenerla distribuendo sementi e formando i contadini: se si vuole aiutare gli afghani a sopravvivere bisogna umilmente partire da qui.

Il rapporto della Fao è disperante: «La situazione è disastrosa, tutti i contadini con cui abbiamo parlato ci hanno detto di aver perso il raccolto quest’anno e sono stati obbligati a vendere il bestiame, non hanno più soldi».

La campagna Fao raggiungerà 1,3 milioni di afghani consentendo ai contadini di non vendere il bestiame. È anche un’operazione rivolta a bloccare il flusso migratorio che parte da queste zone verso l’Europa. Ma non basta, se non vengono sbloccati anche gli altri aiuti internazionali.

DISASTRO ANNUNCIATO

Non possiamo dire che non lo sapevamo. A fine agosto la Fao aveva lanciato un allarme per l’Afghanistan senza pace appena conquistato dai talebani, invocando un aumento graduale degli aiuti umanitari: «Il Paese – diceva pochi mesi fa la Fao- continua a essere colpito da una sempre maggiore siccità che minaccia i mezzi di sussistenza di oltre 7 milioni di persone che vivono di agricoltura e allevamento. Molte di queste persone fanno già parte dei 14 milioni di afghani (uno su tre), colpiti da insicurezza alimentare acuta, che necessitano di aiuti umanitari urgenti».

Le conseguenze combinate della grave siccità, degli effetti economici causati dalla pandemia di Covid-19 e gli enormi sfollamenti avevano già colpito duramente le comunità rurali afghane, in particolare agricoltori e pastori, la spina dorsale dell’economia nazionale. Produzione alimentare e mezzi di sussistenza in agricoltura erano già sottoposti a enormi pressioni dalla siccità. 

Il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, ha sottolineato che «nell’attuale crisi umanitaria è fondamentale dare subito un aiuto urgente agli agricoltori e agli allevatori per contrastare gli effetti della siccità e di una situazione che con l’inverno, nelle prossime settimane e mesi, andrà peggiorando in vaste aree rurali dell’Afghanistan. Se non aiutiamo le persone più colpite dalla grave siccità moltissimi si vedranno costretti ad abbandonare le loro terre, aumentando così il numero degli sfollati in determinate aree».

QUANTI SOLDI MANCANO

Questa situazione minaccia di aggravare ancora più l’insicurezza alimentare e rappresenta un’ulteriore minaccia alla stabilità dell’Afghanistan. Quanti afghani sta aiutando la comunità internazionale? Con la semina del frumento autunnale, la Fao puntava a sostenere 250mila famiglie di agricoltori vulnerabili (circa 1,5 milioni di persone). Ma con i fondi disponibili si è potuto aiutarne meno della metà, 110mila.

Per finanziare il piano di emergenza contro la siccità in Afghanistan mancano 18 milioni di dollari. Il costo di un caccia americano F-35 – tanto per avere un’idea – è di circa 100 milioni di dollari. E in Afghanistan nei venti anni di presenza occidentale di bombardieri, che hanno fatto migliaia di morti anche civili, ne sono volati a josa.

A causa della grave siccità è previsto un raccolto inferiore del 20% rispetto a quello del 2020 e inferiore del 15% alla media dei raccolti. Ecco come si muore in Afghanistan. Rispetto al 2020, si prevede un aumento di circa il 28% del fabbisogno di cereali dell’Afghanistan (essenzialmente frumento e farina). Ma il sistema statale tradizionale di distribuzione delle sementi, già quasi collassato in precedenza, sta crollando anche a causa della nuova situazione politica con l’ascesa dei talebani e un’amministrazione pubblica nel caos.

UN’ALTRA CRISI IN VISTA

Si muore di fame oggi e si morirà anche domani. Secondo il rapporto della Fao «gli agricoltori e i pastori colpiti dalla siccità hanno bisogno, in genere, per recuperare quasi totalmente, dai tre ai cinque anni. Un’altra crisi legata alla siccità e ai raccolti di frumento li colpirà molto duramente». Quando vedremo arrivare altri profughi afghani sulle rotte dei migranti non potremo dire «non lo sapevamo».


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