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Carri armati russi

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UCRAINI e russi stanno preparandosi alla grande battaglia nel Donbass occidentale. Il suo esito potrebbe essere decisivo. Potrebbe aprire la strada a serie trattative, se non di pace, almeno per la sospensione del conflitto e dei bombardamenti. Consentirebbe a entrambe le parti di dichiarare vittoria. Il significato di vittoria sul campo è differente per gli ucraini e per i russi. Per i primi, consiste nell’arrecare alle forze russe perdite tanto consistenti da impedire loro ulteriori operazioni offensive, dato che il Cremlino ha ridimensionato i suoi obiettivi iniziali.

Dal canto suo, Putin sembra ormai disposto a chiamare “vittoria” qualsiasi cosa che gli consenta di districarsi dal ginepraio in cui si è cacciato. Non parla più di “de-nazificazione”, cioè di “de-ucrainizzazione” dell’Ucraina, ma solo di salvaguardare la sopravvivenza della popolazione russofona con la conquista del Donbass, forse anche non completo. Sta punendo gli abitanti facendo saccheggiare i villaggi dai ceceni di Kadyrov. Dopo le perdite subite, soprattutto nell’attacco a Kiev (sembra che 29 del centinaio di Gruppi Tattici di Battaglione (BTG), sull’ottantina lanciati da Nord verso la capitale ucraina, siano completamente da ricostituire), non può permettersi altre consistenti perdite. Per questo adotta nel Donbass una tattica di logoramento, basata sulla sua potenza di fuoco di artiglieria, missilistico e aereo.

La necessità di limitare le perdite spiega anche la sua decisione di dare Mariupol per conquistata, sospendendo l’assalto ai resti del reggimento Azov. Malgrado l’apporto dei ceceni e dei tatari e dei mercenari siriani, libici e del Gruppo Wagner, la Russia non dispone più degli effettivi necessari (soprattutto di fanteria). Quando gli esiti della battaglia verranno decisi dalla fanteria, subirà consistenti perdite. Non potrà rimpiazzarle, né mantenere un adeguato controllo del territorio occupato, dove dovrà fronteggiare una feroce guerra territoriale. Non avrà alternativa che a dichiarare vittoria, qualunque sia l’entità del territorio occupato e cercare un accordo con Kiev per una ripresa dei negoziati e per una tregua. In altre parole, per Putin la vittoria nella battaglia del Donbass consisterà in qualsiasi cosa gli consenta di salvare faccia e potere.

Beninteso, l’ideale sarebbe per lui la conquista dell’intera regione e l’eliminazione della decina di brigate ucraine ammontanti, senza contare le perdite già subite, a 30-40.000 soldati tra i più agguerriti e meglio armati dell’esercito ucraino.

Putin potrebbe vantarsi di aver realizzato, in pratica, la smilitarizzazione dell’Ucraina e, con il blocco del reggimento Azov nei sotterranei dell’acciaieria di Mariupol, anche la “de-nazificazione” del paese. Il piano di battaglia elaborato dal generale d’armata Alexander Dvornikov, comandante supremo russo in Ucraina, comporterebbe dopo una violenta e lunga preparazione di fuoco d’artiglieria e aereo, l’aggiramento delle forze ucraine da Nord, da Izjum, e da Sud, da Donetsk, che distano circa 200 km. Agli ucraini sarebbe impedita la ritirata verso Ovest, con attacchi frontali da Est e con l’infiltrazione di forze speciali e, soprattutto, di ceceni alle loro spalle. La vulnerabilità maggiore dei russi consiste nella possibilità che le due branche della “tenaglia” vengano attaccate sui loro fianchi occidentali dagli ucraini.

Per diminuirlo, il comando russo, contemporaneamente alla battaglia nel Donbas, avrebbe pianificato un’offensiva sussidiaria a Sud, verso Odessa, e mantenuto un gruppo di forze a Nord, sufficienti per un raid corazzato su Kiev, obbligando gli ucraini a mantenere inattive forze per la difesa della capitale. Gli ucraini non sono in grado di potenziare le loro forze del Donbas, ma la resistenza di Mariupol continuerà fino alla fine, per impedire ai russi di utilizzare nell’offensiva principale i 10-15.000 uomini ancora impegnati per l’eliminazione delle ultime resistenze nella città. Dvornikov non intende correre rischi. Sta intensificando il fuoco terrestre e aereo sia per terrorizzare e far fuggire la popolazione, sia per logorare le forze ucraine, specie nel Donbass. Sta, poi, facendo affluire dall’intera Federazione tutte le forze capaci di combattere. Il numero di BTG disponibili per la battaglia è aumentato da 41 a 78, per un totale di 70-80.000 effettivi. Ad essi, vanno aggiunti 15-20.000 irregolari: milizie cecene e tatare (ai tatari, deportati da Stalin in Uzbekistan, Putin avrebbe promesso il reintegro delle vecchie proprietà in Crimea), nonché i mercenari (pagati da 1.000 a 3.000 $ al mese a seconda dell’esperienza di combattimento).

La debolezza maggiore degli ucraini consiste nella loro inferiore potenza di fuoco, soprattutto nel ridotto numero di scorte di proietti d’artiglieria e nell’inesistenza di appoggio aereo. I russi ne dispongono invece in grande quantità. Entrambi sono essenziali nella fase di logoramento. I russi tenderanno perciò di prolungarla, compatibilmente con l’obiettivo di Putin di celebrare la vittoria il 9 maggio. Gli ucraini invece cercheranno di effettuare puntate offensive di alleggerimento e, soprattutto, di diminuire le perdite rifugiandosi nei loro bunker. A un certo punto, i russi dovranno però muovere all’attacco con la fanteria e le truppe corazzate. Gli ucraini potranno allora far valere l’efficacia delle armi controcarro fornite all’Ucraina soprattutto dagli USA e dall’UK (Javelin e MLAW), nonché quella dei drones-kamikaze americani, già impiegati con successo in attacchi alle artiglierie russe (la loro carica esplosiva è di soli 3 kg, insufficiente per distruggere i carri armati).

Gli ucraini potranno far valere la loro maggiore agilità tattica, il loro superiore morale e la loro maggiore disponibilità a subire perdite rispetto alle forze attaccanti. Sono gli uomini, non le armi. Non solo a fare le guerre, ma anche a vincerle o a perderle. In pochi casi nella storia, come nella battaglia del Donbass, le armi sono i veri mezzi di pace. Ai Javelin dovrebbe essere assegnato il Premio Nobel per la Pace! Dai primi scontri è sembrato ai nostri valorosi corrispondenti di guerra che le forze russe continuino ad avere le difficoltà logistiche e di manutenzione dei mezzi, nonché a dimostrare la ridotta aggressività che avevano provocato il disastro dell’offensiva a Nord di Kiev. Insomma, la clausewitziana “nebbia della guerra”, cioè l’incertezza che caratterizza qualsiasi combattimento, si estende fitta sugli esiti della “grande battaglia” del Donbass. 


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