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Joe Biden e Vladimir Putin

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Il Roma/Mosca gate ha ancora contorni non definiti. Nei prossimi giorni si conosceranno forse maggiori dettagli e si potrà dunque giudicare nel merito il valore dei documenti sottratti e passati allo spionaggio russo. Al momento vi sono molte voci che tendono a minimizzare, giudicando la situazione grave ma non gravissima. Si parla di informazioni segrete, ma non segretissime. E ci si affanna a ritenere il ruolo dell’ufficiale italiano non così cruciale all’interno dello Stato maggiore della Difesa.

I SEGNALI

In realtà un’analisi che segue questo canovaccio è poco utile. Chi è realmente esperto di spionaggio è consapevole che potrebbe trattarsi di un caso di reclutamento recente e di conseguenza di una sorta di investimento sul medio-lungo periodo, intanto garantendosi una “talpa” all’interno del ministero della Difesa di uno dei principali Paesi Nato. Al netto, però, di queste speculazioni, il vero punto politico della questione sembra un altro e riguarda la collocazione del nostro Paese nel nuovo quadro internazionale, in epoca di uscita dalla crisi pandemica e di un nuovo attivismo diplomatico statunitense della coppia Biden-Blinken. Ecco allora che la brillante operazione Aisi-Ros assume un duplice valore di importante messaggio politico che il nostro Paese ha inviato a Mosca e a Washington.

Da un lato senza troppi proclami e con gli strumenti classici della diplomazia, cioè l’espulsione dei due funzionari russi coinvolti nell’operazione di spionaggio, si fa sapere allo zar di Mosca che l’epoca del “dialogo critico” con la Russia potrebbe essere agli sgoccioli; o comunque è in atto un riadattamento della politica estera italiana e a farne le spese potrebbe proprio essere quel canale rimasto sempre aperto tra Roma e Mosca. Dall’altro lato, il governo Draghi ha mostrato che alle chiare parole del suo discorso di insediamento, cioè il richiamo all’europeismo e all’atlantismo come pilastri fondamentali, sono pronti a seguire atti concreti.

LA STRATEGIA

Non vi è nulla lasciato ai proclami e alla propaganda nell’operato di Draghi e la decisione di far scattare gli arresti e le conseguenti espulsioni va proprio in questa direzione. Vi è una minore, ma comunque significativa, postilla relativa alla politica interna. Lo si potrebbe definire un richiamo all’ordine per la maggioranza che sostiene il governo Draghi. Bisognerà capire se la dichiarazione molto dura del titolare della Farnesina deve essere interpretata soltanto come un atto dovuto del ministro degli Esteri o se a parlare era anche in capo politico in pectore dei 5 Stelle. E allo stesso modo bisognerà capire, nei prossimi giorni, a che punto si trova il “ripensamento” leghista rispetto alla fascinazione russa.

Vi sono però almeno altri due punti da non trascurare, osservando questa guerra di spie in epoca post-bipolare. Il primo ha direttamente a che fare con la cosiddetta “diplomazia del vaccino”, condotta in maniera sempre più spregiudicata e invasiva da Pechino e Mosca. Se la Cina sembra aver puntato all’Estremo Oriente e all’Africa, Mosca sta cercando di operare con crescente invasività all’interno delle contraddizioni europee nella condotta delle politiche vaccinali.

Anche in questo caso l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi sembra aver smorzato le potenziali “sbandate” in direzione Mosca e più nello specifico verso Sputnik V. Senza entrare nel merito dell’efficacia del vaccino, che non può essere certo valutata da chi scrive, il siero russo ha però certamente due problemi. Da una parte, non è stato certificato dall’agenzia europea del farmaco. Dall’altro lato, non bisogna dimenticare che la generosità di Mosca, oltre che legata a ragioni diplomatiche e di influenza, è connessa a un oggettivo problema russo: la capacità produttiva del vaccino stesso.

In realtà Mosca cerca legittimazione internazionale ma allo stesso tempo stabilimenti, europei, nei quali produrre e dunque opera per propagandare una forza (inesistente), in realtà provando a celare (con difficoltà) l’ennesima debolezza. Con la brillante operazione anti-spionaggio, il governo italiano ha implicitamente suonato la campanella del termine della ricreazione e ha richiamato all’ordine i “volenterosi seguaci del siero proveniente dalla steppa”, nello specifico gli onnipresenti “super-governatori d’assalto” De Luca e Zaia, ai quali di recente sembra essersi unito un redivivo Zingaretti.

LA TESSITURA USA

Vi è infine un ultimo e decisivo punto, direttamente legato alla svolta nella politica estera della nuova amministrazione democratica statunitense, a cento giorni dall’insediamento alla Casa Bianca. Il presidente e il suo segretario di Stato sono impegnati nella (ri)costruzione di una qualche forma di alleanza globale in funzione anti-cinese, in primis, e anti-russa, in seconda battuta. Da un lato la concretezza del riavvicinamento con gli alleati asiatici (Australia, India e Giappone) e dall’altro la mano tesa agli europei (con la garanzia di un supporto concreto sul piano vaccinale non appena chiuse le somministrazioni interne) sono i due pilastri di una chiara discontinuità rispetto all’era Trump.

E proprio in relazione all’apertura di una nuova età delle relazioni euro-atlantiche, non mancano segnali senza possibilità di equivoco. La scelta europea di ammorbidire la posizione nei confronti della Turchia fa parte di questo complicato ma costante lavoro di tessitura statunitense, con l’obiettivo di recuperare anche Ankara all’interno di questa rinnovata fedeltà atlantica.

L’ITALIA NEL RISIKO

E in questo nuovo risiko globale, nel quale il quadrante euro-mediterraneo è tornato fondamentale, l’Italia di Mario Draghi si è detta pronta, e ha mostrato con i fatti, di essere disposta a giocare un ruolo di primo piano. A Washington sono consapevoli che nei prossimi mesi Berlino vivrà una situazione delicata dovuta alle incognite elettorali del dopo Merkel. A Parigi si è già aperta la campagna presidenziale che si concluderà solo ai primi di maggio 2022.

Per una volta il nostro Paese è sinonimo di stabilità e solidità politica. E questo in un duplice senso: perché a guidarlo vi è Mario Draghi e in secondo luogo perché la sua larga maggioranza potrebbe anche condurlo da Palazzo Chigi al Quirinale. Insomma, lo spy game di questi giorni è in realtà lo specchio nel quale si riflette un protagonismo italiano in politica internazionale pragmaticamente e autorevolmente filo-europeo e filo-atlantico.


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