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Una classe elementare svedese

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Manca poco più di un mese al 14 settembre, la data scelta dal Ministero dell’Istruzione per la riapertura delle scuole. Eppure, il rientro degli alunni è ancora avvolto da una coltre di incertezze. A genitori e sindacati non basta la garanzia del presidente Conte, che ieri ha affermato: «La scuola riparte, non ci sono dubbi».

Sembra allora collocata non nel Nord Europa ma su un altro pianeta la Svezia, laddove studenti d’ogni ordine e grado hanno continuato a frequentare la scuola anche durante il periodo più critico della pandemia.

Un esperimento singolare e coraggioso, che ha sortito effetti incoraggianti: nessun incremento dei casi di Covid tra gli scolari e nemmeno un’interruzione prolungata del programma di studi.

I dati sul “miracolo svedese” sono stati divulgati a metà luglio dal Dipartimento di Salute pubblica del Paese scandinavo: nella fascia d’età tra i 6 e i 15 anni, su una popolazione di 1,2 milioni, si sono registrati 370 casi, mentre nella scuola secondaria (fascia d’età tra 16 e 19 anni) sono stati 680. La percentuale di contagiati nella popolazione tra gli 1 e i 19 anni è stata dello 0,05%.

Il dato appare davvero sorprendente se confrontato con quello della confinante Finlandia. Anche qui la percentuale si aggira intorno allo 0,05%, ma con la differenza sostanziale che gli studenti sono rimasti in casa, visto che le porte delle scuole finlandesi, come quelle degli altri Paesi europei, erano sigillate.

Ma la cifra diventa ancora più sbalorditiva se si considera l’incidenza dei bambini sul totale della popolazione contagiata: l’8,2% in Finlandia contro il 2,1% in Svezia.

«In conclusione, la chiusura delle scuole non ha avuto un impatto diretto misurabile sul numero di casi confermati in laboratorio tra i bambini in età scolare in Finlandia e in Svezia», ha affermato il Dipartimento di Salute pubblica nel rapporto. Dal documento si evince anche che gli insegnanti svedesi non rappresentano una categoria di lavoratori più colpita dal virus rispetto alle altre.

C’è poi un altro studio, citato dalla “Reuters” e condotto dalla Sweden’s Karolinska Instituten (KI), un istituto indipendente di ricerche mediche, che confermerebbe la bontà della strategia di Stoccolma. Secondo i ricercatori, grazie all’apertura delle scuole i bambini svedesi avrebbero reagito meglio alla pandemia, sia in termini di istruzione che di salute mentale.

I numeri sembrano dar ragione alla Svezia non solo per quanto riguarda l’infanzia. A fine luglio la media settimanale dei nuovi casi di Covid è scesa a 200, a fronte di circa 1.140 del mese prima.

Si appiattisce anche il numero dei decessi quotidiani, che dopo il massimo di 115 a metà aprile, è arrivato a quota 3 martedì scorso. E pensare che a metà luglio, quando il Paese aveva raggiunto la soglia di 5mila decessi dovuti al virus, il coro di critiche nei confronti del governo socialdemocratico di Stefan Lovfen sembrava poter far vacillare la strategia basata sulla responsabilità individuale e refrattaria al lockdown.

Stoccolma ha però tenuto il punto, e ora ne raccoglie i risultati. Anders Tegnell, medico a capo dell’Agenzia di Sanità pubblica e mente di questa strategia, predica però cautela: ai giornalisti che gli chiedono se si sta pensando di eliminare anche l’unica restrizione rimasta, ossia il divieto di assembramento sopra le 50 persone, risponde che non è ancora il momento.

Chissà quando arriverà per l’Italia il momento dell’agognato ritorno alla normalità, nelle scuole e non solo.


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