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Ursula von der Leyen

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Accordi separati tra governi e produttori di vaccini contro il Covid-19 e scarsa trasparenza con i contratti. Rimontano le accuse verso la Commissione Europea di avere mal gestito la campagna vaccinale in Europa. Colpevole, secondo alcuni, dei ritardi accumulati nell’acquisto delle fiale e poi di scelte sbagliate su quali vaccini priorizzare, fino all’autorizzazione dell’esportazione di 34 milioni di dosi in 31 Paesi terzi, mentre nel Continente la distribuzione arranca. Le ultime cifre rese note dall’Ue, aggiornate all’11 marzo, parlano di 60,7 milioni di dosi consegnate negli Stati membri e 43,1 milioni già somministrate.

Stavolta sotto attacco è proprio la distribuzione delle dosi, che secondo l’Austria non starebbe avvenendo in modo proporzionale all’interno dell’Unione europea, seguendo il criterio del numero di abitanti come concordato dai ventisette governi in fase di contratto. Dopo un confronto con altri Paesi sui numeri delle consegne, il cancelliere Sebastian Kurz ha parlato venerdì di differenze troppo evidenti nella somministrazione tra gli Stati membri per non pensare che qualcuno stesse ricevendo più dosi di quante gliene spetterebbero da contratto.

Cita il caso concreto della piccola Malta, che potrebbe ricevere tre volte più fiale della Bulgaria entro la fine di giugno. Il cancelliere è arrivato a sollevare il dubbio che alcuni Paesi abbiano intrapreso di nuovo colloqui paralleli con le case farmaceutiche, come era successo già con la Germania che, come ormai noto, aveva concluso contratti fuori dall’ombrello Ue. Kurz ha parlato di “segretezza” all’interno del Comitato direttivo della Commissione che riunisce i rappresentanti di tutti gli Stati membri responsabili di monitorare la distribuzione del vaccino.

Monta di nuovo la polemica, complice anche la frustrazione che cresce tra gli Stati per la gestione generale da parte della Commissione. Alle accuse di Vienna, Bruxelles si difende spiegando che tutti gli Stati hanno il diritto di acquistare dosi di vaccini prenotati dall’UE in base alla popolazione, ma alcuni governi potrebbero aver scelto di non dotarsene. Un modo, quello dell’Austria, per distogliere anche l’attenzione dai ritmi ancora troppo lenti della campagna vaccinale, di cui diversi governi cercano di scaricare la responsabilità solo sull’Unione Europea ma di cui non solo l’Ue è responsabile.

All’orizzonte anche nuovi tagli sulle consegne delle dosi previste per il secondo trimestre che allontanano ancora di più l’obiettivo di vaccinare entro fine estate il 70% della popolazione adulta. Dopo varie indiscrezioni, AstraZeneca ha ammesso ieri sera che non riuscirà a garantire più di 100 milioni di dosi all’Ue nella prima metà del 2021, taglio drastico rispetto ai 300 milioni promessi da gennaio a giugno. L’azienda ha motivato l’impossibilità di rispettare gli impegni a causa “delle restrizioni all’export di alcuni Paesi”, tra cui gli Stati Uniti che avrebbero rifiutato la richiesta dell’Ue di permettere l’esportazione di dosi AstraZeneca. La società anglo-svedese è impegnata a compiere “il miglior sforzo ragionevole” per garantire le consegne ma a nulla è servito il richiamo del commissario Ue per il Mercato Interno, Thierry Breton, al Consiglio di amministrazione di AstraZeneca a esercitare “la propria responsabilità fiduciaria” e fare ciò “che è necessario per adempiere agli impegni”.

Impegni nelle consegne che continuano a rimanere poco chiari nonostante siano stati pubblicati i contratti con CureVac, AstraZeneca e Sanofi. I contratti sono coperti da clausole di riservatezza e Bruxelles, su pressione delle case farmaceutiche, ha oscurato le “parti sensibili” sui finanziamenti, sulle dosi e sui tempi di consegna. Nonostante il Parlamento europeo abbia continuato a chiedere maggiore trasparenza da parte della Commissione. Ultimo in ordine di tempo l’appello dell’Ungheria, che ieri ha chiesto all’Esecutivo comunitario di rendere pubblici tutti i contratti sui vaccini acquistati dall’Ue per conto degli Stati membri e soprattutto i programmi di consegna.

Contro il disimpegno delle case farmaceutiche, l’Ue ha esteso fino alla fine di giugno il meccanismo di controllo sulle esportazioni, che dal 30 gennaio è stato attivato solo una volta dall’Italia proprio nei confronti di AstraZeneca che ha cercato di esportare 250mila dosi di vaccino in Australia. Il meccanismo è pensato per colpire le aziende che non rispettano gli impegni di consegna, anche se finora sono state più le dosi autorizzate all’export che quelle bloccate.


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