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Un ripetitore Rai

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La Rai in difficoltà non investe al Sud, dove perde ascolti, e si sposta sempre più a Nord. La situazione dell’azienda sul mercato è ben sintetizzata dal Piano industriale messo a punto dall’attuale vertice.

Mentre nel mondo in cinque anni, la visione della tv lineare è scesa dal 70% del 2012 al 58% nel 2017 (secondo Ericsson Consumer Lab), mentre il 65% dei millenials sotto i 35 anni utilizza l’on line quale fonte primaria di informazione (Reuters), mentre cambia lo scenario competitivo con il consolidamento di grandi gruppi (Comcast-Sky, Disney-Fox) la Rai ha perso, in sette anni, l’1,9% degli ascolti mentre il resto del mercato li ha visti aumentare dello 0,6%. In soldoni, le tre reti generaliste del servizio pubblico hanno perso un milione e seicentomila individui in ascolto dal 2013 al 2018.

La quota della Rai sul mercato pubblicitario televisivo nazionale è scesa dal 22% del 2008 al 15% del 2018. E quando i quotidiani anticipano i primi dati della Cattolica sulla rilevazione dei consumi televisivi su tutti i 112 milioni di schermi usati, di cui solo 42 milioni sono apparecchi televisivi, la Rai viene nettamente sopravanzata da Sky e Mediaset nell’ascolto della tv in streaming. Si potrebbe dire che la Rai è leader degli ascolti sulle televisioni ma non sui contenuti televisivi. Anche se va detto che dietro questi primi dati non ci sono persone: uno streaming può essere seguito da più individui, o da uno solo per pochi secondi e c’è chi vede decine di streaming al giorno.

La Rai, intanto, perde colpi, a partire dalle partite in chiaro della Champion’s League, cedute a Mediaset da Sky per una cifra tra i 42 e i 45 milioni, con il giudice che in prima istanza ha respinto il ricorso della Rai. Sono sedici prima serate con ottimi ascolti: dovranno essere sostituite dalla prossima stagione Nell’approvare il bilancio del 2018, il consiglio di amministrazione della Rai ha potuto sì raggiungere il pareggio, ma a fronte di due dati negativi: la crescita dell’indebitamento finanziario, che sale a 285 milioni di euro rispetto al 210 dell’esercizio precedente e una riduzione di 46 milioni dei ricavi, bilanciati dalla riduzione dei costi.

Quanto la Rai potrà mantenere l’attuale livello occupazionale e produttivo? Il Piano industriale, tra l’altro, effettua una simulazione ora diventata attuale: i risultati per la Rai dal 2019 al 2021 in caso di mancata acquisizione della Champion’s League: perdita nei bilanci 2019 e 2020 ma, soprattutto, una posizione finanziaria netta negativa che arriva a 525 milioni nel 2020 e resta tale nel 2021. Quanto al canone, che doveva tornare al 100% nei bilanci di Viale Mazzini a partire dal 2019, andrà invece al 50% allo Stato, come negli ultimi anni, nella parte che supera la cifra indicata nel bilancio dello Stato.

La Rai e il Meridione: la prima considerazione riguarda la collocazione geografica del nuovo canale in inglese, diffuso in tutto il mondo, che la consociata RaiCom dovrà realizzare in attuazione del contratto di servizio con lo Stato (con un palinsesto di otto ore al giorno ripetuto prima su due poi su tre fasce orarie, con mille ore di nuove trasmissioni all’anno). Si parla di Monza. Monza? Perché a Monza e non a Bari o a Matera? Per ora è un’indiscrezione non confermata ma neanche smentita. Proviamo a leggere gli investimenti nelle sedi regionali contenuti nel Piano – senza alcuna indicazione sul loro ammontare: a Roma saranno realizzati due studi tv e un nuovo Data Center a Saxa Rubra, oltre alla gara d’appalto per riqualificare Viale Mazzini (va rimosso l’amianto).

A Milano il centro di produzione dovrà trasferirsi entro il 2023, con presa di possesso nel 2021, nella nuova sede di Portello. A Torino vi sarà un’azione di valorizzazione della proprietà Rai in via Cernaia. E le altre sedi? Sono previste azioni di “efficientamento” per Genova, Firenze e Cosenza, l’acquisto della sede di Potenza e l’adeguamento di quella di Cagliari. Non molto, per la verità. Vi è la digitalizzazione delle Teche aziendali, con cinque cantieri di lavoro, due a Torino, uno a Milano, uno a Roma Salario e solo il quinto a Palermo, con un numero di ore digitalizzate, 1.300, inferiore alle altre quatto (Roma ha digitalizzato oltre 38mila ore, Milano 2.466). A Torino vi è anche l’unico Centro Ricerche della Rai, che dovrà accelerare il rinnovamento tecnologico.

Un servizio pubblico dovrebbe creare laboratori di innovazione in tutto il Paese, insieme alle Università, come ha fatto la Apple a Napoli, per trovare nuovi talenti e nuove idee. Rai che dovrebbe, come prescrivono concessione e contratto di servizio, promuovere la coesione sociale, ma si sposta sempre più a Nord. E viene ripagata con ascolti, in alcune regioni meridionali (Campania, Calabria e Sicilia), inferiori a quelli di Mediaset, mentre ben poco investe nelle altre regioni meridionali dove vince la battaglia dell’audience, come Puglia e Basilicata. Secondo dati Auditel elaborati da Studio Frasi, sulla stagione in corso, che va dal settembre 2018 al primo giugno di quest’anno, la Rai ha il 35% con i suoi canali in Campania e Sicilia, dove Mediaset supera, rispettivamente il 37% e il 36%.

In Calabria Mediaset, nella media stagionale, supera il 37% di quota di ascolto rispetto al 35,9% della Rai. Rai senza Meridione, insomma: il solo centro di produzione del Sud, quello di Napoli, inaugurato nel 1963, poggia soprattutto su Un posto al sole, la fiction industriale che la Rai realizza dal 1996 insieme agli australiani di Freemantle e su Made in Sud, in onda dall’Auditorium Domenico Scarlatti del Centro di produzione, del tutto sottoutilizzato rispetto agli anni d’oro di Senza Rete.


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