X
<
>

Antonio Nicaso

Condividi:
5 minuti per la lettura

Napoletano: In compenso, siamo invece l’unico Stato al mondo che non riesce a fare arrivare in tempo reale, con un semplice bonifico, liquidità alle persone che hanno bisogno o a garantire un contributo a fondo perduto alle imprese che hanno visto azzerare il loro fatturato per decisione obbligata dello Stato. Quando il contributo arriverà le imprese avranno già chiuso per sempre. In questa situazione è più grave il problema della criminalità organizzata nei territori d’origine o fuori dai territori di origine?

Antonio Nicaso: Da storico, non posso che partire da una valutazione storica. La storia ci insegna che già nel 1867 in Sicilia con il colera, e nel 1884 a Napoli, sempre con il colera, e poi nel 1908 con il terremoto di Reggio e Messina, e con gli altri terremoti che si sono susseguiti in Italia, e ancora con la crisi del 2008, le mafie hanno sempre trasformato i disagi sociali ed economici in opportunità. L’impresa è uno dei terreni più significativi su cui si esercita il dominio dei clan mafiosi, si riproduce e si sviluppa il loro sistema di relazioni e si realizza la penetrazione nel tessuto dell’economia legale. Quando si parla di mafie, bisogna pensare a organizzazioni strutturate e complesse che hanno capacità relazionale e capacità di adattamento. Lecito a questo punto però chiedersi: come sono arrivate in giro per il mondo? Al tempo della mondializzazione, quando il mondo era ancora diviso in blocchi, le mafie sono andate dove c’erano già insediamenti di connazionali camuffandosi e penetrando in qualche modo quelle economie. Dopo la caduta del muro di Berlino, le mafie sono andate dove domanda e offerta si incontrano. La ‘ndrangheta, ad esempio, è andata subito nell’Est europeo dove non c’erano emigrati italiani ma c’era una richiesta di mafia. Il discorso è semplice. Le mafie sono contrarie alle leggi dello Stato ma non a quelle del mercato. Nate, in parte come fenomeno di controllo sociale, nel tempo si sono trasformate in agenzie di servizi, perché c’è un tessuto sociale economico e culturale permeabile. Quando la malavita organizzata è arrivata in Piemonte per il Traforo del Frejus, in quei territori non c’erano soggiornanti obbligati. A Bardonecchia, primo comune sciolto al Nord per mafia, c’era una richiesta di manodopera a basso costo e c’era la necessità di sversare i detriti dei cantieri a condizioni più vantaggiose. La ‘ndrangheta non si è fatta sfuggire questa opportunità. E dopo aver fornito questo tipo di servizi, ha offerto anche sostegno elettorale, potendo contare sul voto dei tanti operai a cui aveva offerto un lavoro. In pratica, anche in molte regioni del nord, le mafie hanno ricreato le stesse condizioni che ne avevano favorito l’ascesa nei territori d’origine.

Napoletano Lei, professor Nicaso, ci sta dunque dicendo che non esiste una risalita della criminalità organizzata dal Sud verso il Nord ma che questa nuova criminalità organizzata è frutto di un intreccio tra politica e imprenditoria dei territori del Nord? Che il Nord utilizza queste organizzazioni quasi come una agenzia di servizi? È una narrazione molto diversa da quella, per così dire, “ufficiale”. Abbiamo capito bene?

Antonio Nicaso: Per ricostruire la genesi delle mafie bisogna capire come siano state legittimate e riconosciute, socialmente, economicamente e culturalmente. Prima nei territori di origine, certo. Ma non, come si pensa, solo per la violenza. La violenza è certamente un fattore importante ma le mafie riescono ad affermarsi anche per la loro capacità relazionale, per quella capacità di fare sistema riprodotta lontano dai territori di provenienza. Mi piace usare la metafora di Sciascia per dire che la linea della palma che da sud sale verso il nord, in molti momenti della nostra storia si è incontrata con la linea della stella alpina che da nord scende verso sud.

Napoletano: Lei, professor Nicaso, prima ha citato Bardonecchia. Proprio dal Piemonte è partita una inchiesta condotta da questo giornale sulle ramificazioni della mafia al Nord. La Regione Piemonte, grazie al meccanismo distorto della spesa storica, riceve e spende per le spese generali cinque volte e mezzo di più di quanto spende la Regione Campania. Addirittura le Regioni Calabria, Puglia e Campania messe insieme spendono il 60/70% di quanto spende da sola la Regione Piemonte. Risorse pubbliche indebite rilevanti che vanno al Nord e diventano cassa per finanziare la crescita dell’assistenzialismo e probabilmente anche per favorire la penetrazione delle mafie in vasti settori di attività economica collegati all’Ente regione.

Antonio Nicaso: Rispondo sempre da storico, ci tengo a ribadirlo, e torno allora indietro nel tempo, a quando furono introdotte leggi come il soggiorno obbligato. L’idea era quella di spostare i mafiosi al Nord per neutralizzarli, non potendo contare su quell’humus protettivo, permeabile dei territori d’origine. Ma le mafie sono molto di più di un fenomeno violento: una volta al Nord, come ho accennato prima, hanno ricostruito le stesse condizioni dei territori di origine; sono riusciti a fare sistema. Molta gente pensava che al Nord ci fossero gli anticorpi per fronteggiare l’ascesa delle mafie. Forse ci saranno stati anticorpi sociali, non lo nego. Ma quelli che sono venuti meno e che hanno favorito l’ascesa delle mafie, sono stati anticorpi economici. Molti hanno fatto un ragionamento da imprenditori. “Perché devo pagare un tondino di ferro il doppio? O 12 euro l’ora un operaio quando qualcuno mi garantisce la stessa manodopera alla metà del costo? È stato un discorso di costi e benefici. Poi il potere economico si è trasformato in potere politico, grazie al quale il sostegno elettorale dei clan è stato barattato con una serie di utilità. Cosa voglio dire? Le mafie, riassumendo, non sono un agente patogeno che inquina territori sani. Se vogliamo usare una metafora, la colonizzazione del Centro-Nord da parte delle mafie è stato il frutto di un incontro, quello di due mani che si stringono: per soddisfare vantaggi reciproci.

Napoletano Dottor Gratteri condivide questa analisi del professore Nicaso che demolisce uno dei più radicati luoghi comuni italiani? Condivide, e glielo chiedo perché ne sono colpito, la ricostruzione di un incrocio strutturale tra economia e criminalità organizzata al Nord? Se sì, allora anche secondo lei il pericolo più grave è a Nord?

Nicola Gratteri: Per definizione ciò che dice Nicaso è condiviso da me e viceversa. E’ più facile investire e camuffarsi al Nord; è più facile girare in Ferrari in via Montenapoleone a Milano che a Reggio Calabria, Catanzaro o Cosenza; è più facile mimetizzarsi tra milioni di abitanti. Per un mafioso essere socio di una società e nascondersi a Catanzaro è certamente più difficile. Mentre cercare tra centinaia di società a Milano, a meno che non si sia avviata già un’indagine specifica, è come trovare un ago in un pagliaio.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.


Ecco i contenuti del Forum

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE