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Enrica Perucchietti

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È diffuso il timore che la sospensione delle libertà dovuta all’emergenza sanitaria possa non esaurirsi con la fine della pandemia. Si agita lo spettro di uno stato di necessità prolungato. Chi nei suoi articoli tiene alta l’attenzione sul rischio di uno scivolamento verso scenari liberticidi, da romanzo di George Orwell, è Enrica Perucchietti. Giornalista, scrittrice, a fine marzo ha dato alle stampe insieme all’avv. Luca D’Auria il libro “Coronavirus – Il nemico invisibile” (ed. Uno editori).

La minaccia globale, il paradigma della paura, la militarizzazione del Paese: che nesso c’è tra questi tre aspetti che fanno da sottotitolo al vostro libro?
Esiste una linea sottile che partendo dall’emergenza globale conduce alla possibile strumentalizzazione della paura amplificata da alcuni media per stringere le maglie del controllo sociale e legittimare provvedimenti liberticidi. Si è infatti indotta l’idea fallace che per tornare a sentirsi sicuri sia necessario limitare le libertà e la privacy, rischiando di legittimare un grande fratello orwelliano. La paura è solo uno dei tanti tasselli nel processo di manipolazione sociale che il potere adotta da secoli. Si induce una crisi o la si strumentalizza per portare avanti politiche che sarebbero altrimenti impopolari ma che la percezione dello shock legittima.

Si corre il rischio che queste misure restrittive, se prolungate, possano portare a un cambiamento antropologico dell’uomo? Penso al ruolo soverchiante che sta assumendo il digitale…
Il cambiamento sta già avvenendo ma se in poche settimane è emerso in maniera così evidente ciò è perché ne portavamo i semi in potenza da anni nella nostra società. Come già spiegavo in Cyberuomo (ed. Arianna Editrice, 2019), la visione scientista del transumanesimo sta convertendo l’Occidente ai suoi diktat, sottomettendo l’opinione pubblica ai mantra del progresso, dello sviluppo tecnologico e del virtuale. Anche il fatto di aver espulso il concetto di “morte” dalla nostra società, facendone un tabù, è emblematico.

Nel 2014, insieme a Gianluca Marletta, hai scritto Unisex – La creazione dell’uomo “senza identità”. Il processo potrebbe ora essere accelerato?
La nostra teoria di fondo era che il mondialismo sfruttasse e anzi inducesse la spersonalizzazione dell’individuo per rendere a-morfe le persone, liquide persino nella loro identità sessuale, per poterle manipolare e controllare meglio. Il distanziamento sociale, che evoca la Lega antisesso di orwelliana memoria, ricalca il tentativo di distruggere i corpi intermedi (famiglia, compagni, amici, ecc.) rendendo sempre più sole, spaesate e impaurite le persone, preda delle proprie emozioni e più facilmente plagiabili.

Come spieghi che i provvedimenti più ferrei siano stati presi dal governo italiano?
Dovremmo chiederci se atavicamente non siamo più predisposti di altri popoli a ubbidire acriticamente a una autorità.

Torneremo alla vita di prima?
Se continueranno le restrizioni no, si sta inducendo uno shock collettivo che sarà difficile da sanare a livello emotivo, affettivo, sociale ed economico. Come in passato, non possiamo non prendere in considerazione che la tutela della salute possa essere strumentalizzata e utilizzata per imporre limitazioni della libertà, abituando i cittadini a restrizioni sempre più invasive della libertà e della privacy. Dovremmo invece fare molta attenzione alle misure che legittimiamo in stato di eccezione perché oltre a creare dei precedenti rischiamo che tali provvedimenti non vengano sospesi una volta finita l’emergenza: il caso del Patriot Act americano dovrebbe insegnarci qualcosa e invitarci alla cautela.


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