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In attesa del Piano dell’Infanzia che il governo ha preannunciato per supportare le mamme e i papà che torneranno progressivamente sui luoghi di lavoro, con la Ministra Lucia Azzolina che chiede che si possano utilizzare per i bambini gli spazi all’aperto delle scuole, per l’estate, c’è un aspetto su cui molte famiglie si interrogano: riapriranno gli asili nido e le scuole dell’infanzia, dopo la pausa estiva? La responsabile del dicastero dell’Istruzione ieri ha detto che per la ripartenza della scuola a settembre nei prossimi giorni saranno stabilite forme e modalità.

«A settembre – ha dichiarato intervenendo in diretta a Skuola.net – noi vogliamo risentire il suono della campanella nelle nostre aule. Stiamo lavorando sul rientro a scuola insieme a un comitato di esperti e professionalità di altissimo livello. E stiamo pensando a diverse opzioni possibili sulle modalità di ritorno in classe che annunceremo nei prossimi giorni. La decisione di chiudere – ha spiegato – è stata finalizzata a far sì che si ritorni in massima sicurezza».

Per le scuole dell’infanzia e i nidi – che non fanno parte dell’ordinamento scolastico – il tema è particolarmente spinoso: il rischio contagio per le insegnanti di nidi e materne, come documenta uno studio dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – Inapp, è fra i più elevati, comparato fra altre 800 professioni, anche rispetto alle colleghe delle scuole di grado superiore. Per dare l’idea dell’impatto del problema per le famiglie, soltanto per le scuole dell’infanzia, si tratta, secondo l’Annuario Istat 2020, di una platea di circa 1,5 milioni di bambini, distribuiti in oltre 23 mila scuole, con 21 bambini in media per classe.

Con i più piccoli – hanno ribadito più volte gli esperti dell’ISS e del Comitato tecnico scientifico, – è impossibile mantenere il distanziamento sociale. In più, il rischio di contagio, che secondo i dati epidemiologici dell’ISS illustrati lo scorso 23 aprile, risulta essere molto basso – fra lo 0,5 e l’1% – nella fascia d’età 0-9 anni, viceversa per le donne, nella fascia 29- 59 anni è più alto che per gli uomini. Di qui la decisione, amara, di continuare a tenere chiuse le scuole, in presenza dell’elevata presenza femminile fra i docenti. Le insegnanti di asili nido e materne sono inoltre fra le figure più a rischio, per l’esposizione al contagio e la prossimità fisica. L’indagine campionaria sulle professioni condotta dai ricercatori Teresa Barbieri e Sergio Scicchitano dell’Inapp, Istituto che dipende dal Ministero del Lavoro, – e da Gaetano Basso, ricercatore della Banca d’Italia, pubblicata nel lavoro Italian workers at risk during the COVID-19 epidemic, di cui anche la Banca d’Italia ha riportato una sintesi sul proprio sito, non lascia spazio a dubbi.

Nella ricerca, «pubblicizzata anche sul prestigioso sito di economia internazionale CEPR – ha spiegato Scicchitano – , sono state classificate 800 professioni in base ad alcuni indici: la frequenza dell’esposizione a malattie e/o infezioni, l’intensità della vicinanza fisica e la possibilità di lavorare da remoto». In particolare, sono emersi dettagli che la task force del Governo per la Fase 2 ha ragionevolmente considerato. «Fra i dieci settori con la maggiore esposizione a malattie e infezioni, oltre alla conferma dei valori più alti nel settore sanitario, un rischio elevato è stato riportato nei settori dell’istruzione pre-scolastica e degli asili nido, attualmente in lockdown. Addirittura, fra i primi dieci settori per rischio di prossimità, la situazione si inverte, perché gli insegnanti del settore pre-scolastico e degli asili nido riportano i due valori più alti» – osserva l’economista. C’è un ulteriore aspetto da considerare, ed è relativo al rischio di precarietà in cui si sono venute a trovare molte insegnanti di asili nido e scuole materne, specie private, per il lockdown. Queste persone, grazie ad orari più flessibili di apertura dei luoghi di lavoro, spesso contribuiscono all’equilibrio delle famiglie.

Oggi, colpite dalla chiusura, rischiano di rimanere in un limbo, senza aver potuto proseguire l’attività da remoto, come le altre professioni del comparto della scuola, grazie alla tecnologia digitale che ha consentito loro di poter lavorare in sicurezza da casa. Lo studio dell’Inapp evidenzia a questo proposito un aspetto estremamente positivo provocato dal lockdown: grazie allo smart-working, si può stimare che siano riusciti a lavorare circa 3 milioni di lavoratori in più di quelli direttamente interessati dalle chiusure, contribuendo così, a ridurre il rischio di contagio generale. Un grandissimo risultato, ha evidenziato la ricerca.


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