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Il mondo si prepara a raccogliere l’eredità del coronavirus in un quadro che sarà socialmente e psicologicamente devastante. A lanciare l’allarme è l’International Covid-19 Suicide Prevention Research Collaboration, formata da 42 esperti di fama mondiale e coordinata da David Gunnell dell’università di Bristol, con un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Lancet dal titolo emblematico: “Il rischio di sui-cidio e la prevenzione durante la pandemia di Co-vid19”. Secondo gli studiosi gli effetti dell’epidemia «sulla salute mentale potrebbero essere profondi» ma nonostante già oggi ci siano indicazioni «che il tasso di suicidi sia destinato ad aumentare» questo «non è inevitabile», a patto che i governi intervengano individuando per tempo le situazioni critiche.

Nel momento in cui la pandemia progredisce, prosegue la pubblicazione, «e si producono effetti di lungo termine sull’economia, sui gruppi sociali più fragili e sulla popolazione in generale» quella di togliersi la vita «può diventare un’esigenza da assolvere con una certa urgenza». Gli esperti richiamano due precedenti: l’arrivo dell’influenza Spagnola negli Stati Uniti, fra il 1918 e il 1919, e l’epidemia di Sars a Hong Kong nel 2002. Contestualmente a entrambe le emergenze sanitarie «esistono prove che il numero di decessi per suicidio sia aumentato».

Diversi i fattori di rischio individuati dal gruppo di ricercatori che suggerisce anche come intervenire per ridimensionare il pericolo. C’è innanzitutto il problema dello stigma nei confronti dei malati di Covid19 e delle loro famiglie. Tra gli infetti ci saranno anche persone con pregresse patologie psichiatriche che potrebbero accusare un «peggioramento dei sintomi». Ma in una situazione caratterizzata da forti inquietudini per la propria salute e da stringenti misure di isolamento, ansia, depressione e stress post traumatico potrebbero riguardare anche soggetti che in precedenza non abbiano mostrato alcun segno di squilibrio mentale.

Ci sono, poi, le persone che già prima del virus avevano mostrato tendenze suicide. Queste potrebbero rinunciare a chiedere aiuto, temendo un sovraffollamento dei servizi di assistenza o che l’eventuale colloquio de visu con un operatore «possa esporle» all’infezione. Sono, poi, a rischio quanti «hanno perso il lavoro» o sono soggetti a preoccupazioni di natura «finanziaria» o per le loro prospettive future, come gli studenti «che hanno interrotto il loro percorso formativo». Non solo: la quarantena forzata può far crescere gli episodi di violenza domestica e l’abuso di alcool ed esacerbare la condizione di isolamento sociale già vissuta da determinati soggetti, in particolare per quanti dovranno affrontare lutti legati alla malattia. Fattori di rischio sono, poi, la disponibilità di armi nelle proprie abitazioni o i «resoconti irresponsabili dei media», su altri suicidi e sull’epidemia.

Le soluzioni proposte dal team di esperti vanno oltre le normali misure di prevenzione in materia di «malattie mentali». Serve, spiegano, «una risposta interdisciplinare ad ampio raggio». A seconda delle criticità evidenziate si consigliano: l’implementazione dello smart working e del supporto psicologico a distanza, un rafforzamento della rete dei servizi sociali e di quelli antiviolenza, supporto economico e alimentare, la prosecuzione delle lezioni scolastiche mediante il ricorso al digitale, restrizioni sulla vendita di armi e così via.

«Le conseguenze per la salute mentale probabilmente resteranno per un tempo più lungo e avranno un picco più tardi rispetto all’attuale pandemia – concludono gli studiosi. Tuttavia la ricerca e le esperienze delle strategie nazionali ci danno una base forte per la prevenzione» del fenomeno.


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