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i vice premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini

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Il cambio di passo del M5s avviene martedì attorno all’ora di cena. Palazzo Chigi, vertice di maggioranza. Ordine dei lavori: l’autonomia differenziata. Si lavora fino a notte fonda ma alle 22 Matteo Salvini, vicepremier della Lega e ministro dell’Interno, si alza e se ne va perché ufficialmente impegnato in un’intervista con Bianca Berlinguer su Raitre. In realtà il Capitano è stufo dall’atteggiamento dei Cinquestelle rei di frenare il dossier principe del programma leghista.

Anche perché questa volta Luigi Di Maio si oppone ai diktat del Carroccio, non si piega alle richieste di Salvini convinto che il testo base non abbia bisogno di emendamenti.

«Ma quale testo base?», lamenta la delegazione pentastellata, seduta al tavolo. Il vicepremier grillino chiede alle commissioni parlamentari di esaminare e correggere il provvedimento. Perché, spiega, occorre «sciogliere i nodi su ambiente, sanità, trasferimenti fiscali alle regioni, scuola, trasporti.

I DISSIDENTI

Di Maio sa che è difficile fermare la marcia della Lega verso l’autonomismo. Eppure il vicepremier di Pomigliano D’Arco deve farsi portavoce del gruppone di parlamentari Cinquestelle eletti al Sud, circa 200, che minacciano di non votare il provvedimento. Non a caso qualche giorno fa Barbara Lezzi, ministro per il Sud, lo ha messo nero su bianco: E allora via con il cambio di passo per provare a frenare i malumori e i mugugni che negli ultimi giorni si sono fatti sempre più intesi. D’altro canto, dopo l’addio della pasionaria Paola Nugnes il capo politico del Movimento teme altre fuoriuscite che potrebbero destabilizzare la maggioranza gialloverde a Palazzo Madama.

Gli indizi riportano al profilo di alcuni senatori che da mesi rumoreggiano. Ad esempio, mostrano perplessità sull’azione dell’esecutivo Matteo Mantero, Virginia La Mura, Elena Fattori. Quanto all’autonomia differenziata, qualcuno invece sospetta che si tratta soltanto di una strategia per scavallare la data fatidica del 20 luglio, termine ultimo per tornare a votare entro settembre. Anche perché in caso di nuove elezioni il M5S ne uscirebbe più che ridimensionato. Gli ultimi sondaggi infatti fotografano un Movimento attorno al 15 per cento, ben 17 punti sotto la percentuale delle elezioni politiche del marzo del 2018.

Da qui la necessità di pungolare Salvini e la Lega. Di non cedere a qualsiasi richiesta del Carroccio. «L’atteggiamento di Di Maio non paga dal punto di vista elettorale. Non possiamo diventare una corrente della Lega», ragiona a taccuini chiusi un deputato di fede grillina. E lo scontro di martedì sera va in questa direzione. Il vertice di maggioranza è andato a vuoto a causa delle resistenze del Movimento. E con molta probabilità le due delegazioni si rivedranno mercoledì prossimo, sempre sotto la direzione del premier Conte. Eppure fonti parlamentari escludono che si arriverà a una soluzione per quella data.

IL “COMPAGNO” FICO

In questo contesto si inserisce il richiamo del presidente della Camera, Roberto Fico, leader dell’anima più «di sinistra» del Movimento. Dalle colonne di Repubblica, Fico invia una serie di messaggi al capo politico Luigi Di Maio: «Quello che serve – argomenta – è uno spazio dove tutti possiamo parlare del perché non ha funzionato, di cosa sta sbagliando, di come elaborare la linea politica collegiale, ridefinire i valori, prendere decisioni di volta in volta». E sembra quasi che Di Maio abbia iniziato ad ascoltare i consigli del «compagno» Fico. Non a caso ieri il vicepremier pentastellato torna sulla questione autonomia senza perdere di vista l’obiettivo finale: « Sarà un’ Autonomia equilibrata, fatta bene, che gioverà veramente a Regioni e Comuni. Il MoVimento lavora così, per tutto il Paese. Non penso che qualcuno voglia tornare ai tempi della secessione della Padania e non ho motivo di dubitare che sapremo trovare insieme la migliore soluzione».


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