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Il parlamento italiano

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Come evolverà la crisi politica? Se lo chiedono tutti e c’è una grande varietà di interpretazioni.

Più modestamente ci sarebbe da chiedersi, visto che non ci è possibile conoscere cosa passi per la testa dei vari attori, cosa convenga al paese: ma non troppo in astratto, bensì cercando di tenere conto di un contesto che è quello che è.

Si deve partire dalla constatazione che ormai da tempo si è messo in moto un meccanismo sussultorio che spinge a trovare una nuova stabilizzazione degli equilibri politici.

È tipico delle dinamiche delle fasi storiche in cui ci si confronta con cambiamenti notevoli, e, aggiungiamoci, con cambiamenti difficili da interpretare e che pertanto suscitano timore e anche allarme fra la gente.

DUE FORZE ABBORRACCIATE

La presunzione di rispondere ai problemi di questo passaggio mettendo insieme in maniera abborracciata due forze che avevano voluto da prospettive diverse candidarsi a governare appunto il “cambiamento” si è rivelata fallimentare, perché si trattava di due componenti con diversi orizzonti, diversi interessi e anche, va detto, in troppi campi con approcci del tutto velleitari.

Bisogna dunque partire dalla constatazione che va ritrovata una qualche stabilizzazione del quadro politico e che si può farlo solo affidandone il compito al corpo elettorale. Chi spinge per evitare la prova elettorale ora, ne prepara una in condizioni peggiori fra qualche tempo, perché un rinvio in queste condizioni serve solo a creare le condizioni ideali per lo sviluppo di tutte le possibili forme di demagogia. Può sembrare che questa constatazione voglia contraddire quanto ha affermato il direttore Napoletano nel suo editoriale di ieri invitando a “fare piano”.

Non è così, perché la prova elettorale va varata ora, senza infingimenti su possibili dilazioni, ma non per questo va fatta subito alla garibaldina.

Ci rendiamo conto che  puntiamo a riproporre una razionalità politica che non è tanto di moda, ma riteniamo vada fatto. Una prova elettorale così importante e decisiva almeno per un certo numero di anni (altrimenti che stabilizzazione sarebbe?) non deve essere promossa per gettare il paese nelle spire delle opposte demagogie, soprattutto nel momento in cui dobbiamo affrontare due passaggi delicatissimi, come il negoziato sulla nostra posizione nella UE e la stesura di una legge finanziaria che possa avere l’autorevolezza di rimettere in moto l’economia col suo meccanismo di investimenti.

Votare in autunno ci esporrebbe a quel rischio, soprattutto se teniamo conto dell’alta percentuale di astensionismo e di indecisione che i sondaggi registrano (anche quelli son numeri di cui tenere conto), per non parlare delle reazioni sul  debito pubblico che già vediamo presentarsi sui mercati.

NIENTE GIOCHETTI DILATATORI

Razionalmente la soluzione migliore possibile sarebbe dunque un governo non politico di tregua e di transizione che abbia chiaramente il compito di traghettare il paese ad elezioni ad una data certa prevista ad inizio 2020 (così si evitano giochetti dilatori) e che nel frattempo debba gestire in un’ottica di sana conservazione (se il termine non spaventa) la gestione delle scadenze europee e della legge finanziaria.

Chiaramente questo governo non dovrebbe lanciarsi in imprese di riforma o in mirabolanti propositi di trasformazione, perché non ce ne sarebbe il tempo e perché quello è il compito che va lasciato alle forze politiche che si presenteranno alle elezioni con quel tipo di programmi: quelle che otterranno la fiducia degli elettori realizzeranno il loro programma nel corso della nuova legislatura.

Conosciamo bene il perfido tranello che c’è sulla strada di questa soluzione: il passaggio definitivo della riforma costituzionale che cancella 345 deputati e che va in quarta lettura (definitiva) ad inizi settembre. Se passasse, tutto entrerebbe nel caos, perché ci sarebbe il problema di affrontare un referendum confermativo, perché si dovrebbero ridisegnare i collegi e votare con la legge elettorale attuale che spinge in questo caso verso manipolazioni di tipo maggioritario poco idonee a produrre la stabilizzazione politica (virtuosa) che abbiamo individuato come necessaria.

UNA BANDIERINA DEL GRILLISMO

Qui va detta una parola chiara: nell’accordo politico per varare il governo di tregua e di transizione andrebbe iscritta la clausola di bocciare quella riforma che va in quarta lettura. Si tratta di una riforma abborracciata, una bandierina del grillismo per solleticare malamente il qualunquismo popolare che individua nei parlamentari dei poltronisti che costano e non servono.

Proprio perché l’Italia ha bisogno di razionalizzare il suo sistema politico, non si fanno riforme di quel genere con slogan. Sarà compito da affidare alla nuova legislatura che speriamo stabilizzata la ripresa di un discorso di riforma costituzionale complessiva e organica in cui c’è molto da fare: rivedere il bicameralismo perfetto, ridisegnare il sistema regionale, riorganizzare la distribuzione di molti poteri e via dicendo.

Renzi ci aveva provato ed a causa proprio di un eccesso di garibaldinismo (personale e di struttura) ha bruciato una occasione che affrontava con molti aspetti interessanti una occasione di stabilizzazione del sistema che si potrebbe e dovrebbe riprendere con le opportune riconsiderazioni.

VERI SERVITORI DELLO STATO

Certo sappiamo benissimo e l’abbiamo già scritto che il punto dolente di tutto questo ragionamento è l’individuazione di un governo di tregua che sia davvero di servitori dello stato, di Cincinnato super partes. Purtroppo l’esperienza del sen. Monti non ha costruito un buon prototipo, perché ha voluto poi trasformarsi nell’embrione di una nuova formazione politica, finita fra il resto piuttosto male. Ma i prototipi servono proprio per imparare dagli errori e dai difetti che rivelano e questa volta si potrebbe anche fare meglio.


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