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Vincenzo De Luca

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Con Vincenzo De Luca in Campania non vince il Partito democratico ma solo lui che è Vicerè e che trionfa alla testa di un’infinità di liste civiche, la maggior parte di destra e perfino d’antan, al sapore della Prima Repubblica con Ciriaco De Mita e Clemente Mastella al fianco.

Fosse stato per il suo partito, De Luca, neppure sarebbe stato candidato. Lo stato d’eccezione determinato dalla pandemia – forte di tutti i suoi rimandi pop, lanciafiamme in testa – lo vede invece confermato e comunque si sa, la regola è sempre quella: sopra il Re c’è sempre il Vicerè.

E figurarsi quanto il vicereame di De Luca possa essere sopra il periclitante reame di Nicola Zingaretti (che pure la sua risicata vittoria nel Lazio ebbe ad aggiudicarsela, a suo tempo, assicurandosi nel 2018 la candidatura di Sergio Pirozzi, già celebrato sindaco di Amatrice, per erodere i voti a destra, decisamente maggioritari rispetto alla dote del Pd).

De Luca vince perché non c’è un altro Vicerè in campo, mentre Michele Emiliano, in Puglia, un Vicerè sfidante ce l’ha, è Raffaele Fitto che da destra non sembra patire le tante liste di estrema destra al grido di alalà schieratesi a sostegno del presidente uscente. Oppure in concorrenza. Come Adriana Poli Bortone. L’ex sindaco di Lecce, storico riferimento del MSI, s’è proposta nel ruolo di guastatore nella campagna elettorale della propria Regione per azzoppare la gara di Fitto contro Emiliano e favorire, manco a dirlo, quest’ultimo portandogli in dono nientemeno che la Fiamma tricolore.

Con Fitto che vince comunque si perpetua il vicereame, la Puglia però smotta ripercussioni pesanti in ben altro reame che non sia il Pd di Emiliano ed è nell’essere – la regione di Padre Pio, di Lino Banfi e del Tavoliere – l’Ohio d’Italia. Tutto d’Italia si decide sulla rotta Bari-Brindisi. Con la sconfitta di Emiliano, infatti, difficilmente può reggere il governo di Giuseppe Conte il quale poco può farsene della riconferma del centrosinistra in Toscana o nelle Marche, anzi, una squillante affermazione del Pd può solo portare beneficio alla legislatura, non al Catilina miracolosamente alloggiato a Palazzo Chigi. Il M5S potrà ben annacquare l’ormai certa disfatta elettorale nella squillante affermazione del Sì al Referendum e però anche in questo caso, il Conte, non potrà avvalersene perché il tagliando al governo del reame è in agguato e ogni vicereame gioca una battaglia a sé stante.

Pareggio o meno – tra destra e sinistra – alle regionali ormai al traguardo va ad acuirsi l’Italia delle due velocità: il Nord della ripartenza e il Sud in attesa di partenza. La Legazione di Romagna (ed Emilia), nelle saldi mani di Stefano Bonaccini, è perfino più forte della Campania di De Luca. Il presidente della regione Emilia-Romagna incide negli equilibri pontificali del Partito Democratico come mai nella storia del Pci ha potuto fare il fronte degli amministratori.

La sua posizione, infatti, va ben oltre i confini quando, puntando alla reunion dei Matteo Renzi e dei Pier Luigi Bersani per acquartierare la sinistra sotto uno stesso tetto, mira a gestire quel che resta della leadership di Zingaretti.

Cosa ben diversa, questa di Bonaccini – specularmente – della strategia di Luca Zaia, il Doge delle Venezie, cui tutti guardano sperando sia l’inimico atteso di Matteo Salvini. Soltanto una fola autoconsolatoria dei potentati, avvallata in cervellotiche analisi, è questa della rivalità tra il leader della Lega e il presidente veneto prossimo alla trionfale riconferma. Uno si fa carico della propaganda, l’altro della politica. Non fosse altro perché in Zaia s’invera l’assoluto leghista – il proclama autonomista, il pragmatismo liberista del popolo delle partite Iva – indifferente a ogni sconfinamento al punto che il Doge mai mette piede fuori dal serenissimo Veneto, proprio mai.

Coi Vicerè di Napoli e delle Puglie, con i Legati delle Marche, con la Repubblica di Liguria e con i Dogi – tutti vincenti – e con i Granduchi di Toscana, l’unità politica della Penisola torna a essere flebile chimera, anzi, con il saggio Klemens Wenzel, il principe di Metternich, cancelliere di Stato di Sua Altezza Imperiale Francesco d’Austria, ancora una volta l’Italia resta quel che è: “Un’espressione geografica.”


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