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Montecitorio, sede della Camera

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Il crescere dei contagi zittisce la chiacchiera politica. Meno male, peccato che parli molto poco anche la politica vera. Tutto sembra come sospeso, causa la paura per una seconda ondata che era stata data per archiviata, perché in settembre non c’era stata la crisi catastrofica che molti avevano profetizzato per l’autunno. Sarà capitato anche ai lettori di sentire un famoso direttore di giornale ironizzare in TV sui professionisti di sciagure che erano stati smentiti da un settembre senza i guai diffusi che molti si aspettavano, anzi capace di vedere un tranquillo e regolare svolgersi di una prova elettorale che avrebbe consolidato quel governo Conte dato per prossimo all’implosione.

Non vogliamo certo fare i profeti di sventure e vedere nell’impennata di contagi l’avverarsi di un crollo del sistema. Per fortuna non è ancora così e si può impegnarsi a far sì che non succeda. Certo però che qualche preoccupazione fondata non è fuori luogo, sebbene ci siano anche, per ora, segnali positivi di una capacità di risposta. Senza attendere il formale varo del nuovo DPCM l’uso delle mascherine è largamente rispettato e così anche le misure di distanziamento sociale e sanificazione. La assoluta maggioranza della gente non è stupida e sa benissimo che stiamo entrando in una situazione difficile.

Anche il tanto sbandierato conflitto fra stato e regioni per ora si è molto ridimensionato: né al centro, né in periferia c’è gran voglia di esibirsi nel ruolo di prime donne.

Non è detto che duri, ma non si può neppure dare per scontato che tutto crollerà presto come un cartello di carte: l’esperienza della prima fase qualcosa ha insegnato, ma si sono anche attivati i contrappesi a disposizione del sistema. La discreta, ma autorevole presenza di Mattarella in questa fase fa vedere come ci sia la consapevolezza nella grande regia del sistema politico che si muove dietro le quinte che non è il caso di aspettare passivamente l’evoluzione degli eventi.

Poi sul cosa fare la chiarezza è molto relativa. Non è tanto il caso delle misure sanitarie immediate da prendere, perché quelle ormai sono note e sufficientemente condivise, al di là di qualche distinguo che non manca per ragioni di bandiera a cui è arduo rinunciare. Piuttosto il tema centrale continua ad essere come gestire l’emergenza economica che inevitabilmente è prospettata dal rapido incremento dei contagi.

Alcune misure sono facili da proporre, ma non altrettanto da mettere in atto. Prendete il tema dello smart work. Indubbiamente limita in parte la possibile diffusione del virus grazie al contenimento dei contatti, non solo nei singoli luoghi di lavoro, ma soprattutto negli spostamenti per raggiungerli, perché sono i trasporti un punto dolente di tutte le strategie di contrasto. Però poi non è ancora chiaro quanto si paghi in termini di efficienza delle prestazioni, nel pubblico impiego, ma anche nell’uso dei servizi privati. Senza clamore, perché non è il caso di suscitare allarmismi, la domanda se davvero funzionino bene in smart working molti settori interessati dal fenomeno si sta ponendo con una certa premura.

Nell’immediato la politica deve affrontare il tema della predisposizione dei vari passaggi che portano alla legge di bilancio, dalla nota di aggiornamento al DEF in avanti. Non c’è solo la questione, tutt’altro che banale, su come affrontare un voto di fiducia in un parlamento che potrebbe essere diminuito nei numeri dal Covid,

oprattutto al senato dove la maggioranza è molto risicata. C’è il ben più sostanziale problema di come impostare un bilancio che ruota tutto sulle disponibilità dei fondi europei che non si riesce ancora a capire quando arriveranno e a che condizioni. Perché la ripresa della pandemia pone il tema di sostenere una situazione critica con interventi tampone che di per sé non sono compatibili con le regole di Bruxelles sull’uso dei quattrini del Next Generation UE.

Basterà cavarsela dicendo che con quei soldi si faranno le spese di investimento, liberando quelli “normali” che avremmo comunque destinato ad alcune di esse, sicché avremo così le risorse per le iniziative tampone? Ci pare un po’ troppo semplicistico. Invece nulla è semplice.

Prendete di nuovo la questione del MES. Sembra che lentamente il fronte dei contrari per partito preso si stia sgretolando, giusto Conte e Gualtieri sembrano tetragoni sul punto per il solito timore della frana in casa Cinque Stelle. Tuttavia anche se a breve si decidesse di chiedere quelle risorse che sono subito disponibili, non è poi certo che ciò basterebbe per recuperare le carenze di decenni del nostro sistema sanitario, sia in alcune regioni già in sofferenza, sia più in generale nella riconversione di quella santità territoriale di base colpevolmente ridotta troppo spesso a scribacchini di ricette che smistano i casi agli specialisti presso gli ospedali anche per esami che coi mezzi attuali si potrebbero risolvere ambulatorialmente.

Se si arrivasse al corto circuito fra la palese emersione delle colpe nei ritardi di programmazione e la difficoltà di gestione dei canali della rappresentanza politica (parlamentari e non solo) non ci troveremmo in una situazione gradevole dal punto di vista sociale. Tanto il governo quanto i partiti scoprirebbero che i problemi di trovare i candidati giusti per la corsa a sindaco a Roma, Torino, Milano, Napoli, Bologna, non sono i veri scogli che dovranno affrontare.


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