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Giorgia Meloni

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PIU’ CHE altro sembra il classico tutti contro tutti. Se leggete in giro, nessuno ammette che nel settore di propria competenza si trovi l’origine dei contagi: nei trasporti no, nella scuola sono tutti in sicurezza, figurarsi nelle palestre e piscine, senz’altro in teatri cinema e luoghi di spettacolo. Sicuri in ristoranti, bar e pub, ovvio che sia così nei luoghi di lavoro, dove peraltro o ci sono protocolli rigidi o si opera in smart working. Allora dove ci si infetta? Arriva la risposta ridicola: a casa, come se il virus a casa non dovesse portarcelo qualcuno da fuori.

Ci siamo concessi questo giochetto retorico per illustrare una situazione che è fuori controllo prima di tutto in termini di comunicazione, perché ormai non c’è più responsabilità nell’esternare. Il governo fa un DPCM dietro l’altro, in cui infila anche “consigli” cosa che non sarebbe proprio da fare in un testo legislativo per quanto di secondo grado, ma poi la sua maggioranza esprime subito perplessità e manifesta disagio per quel che si è deciso. L’opposizione, dimentica di quando negava seconde ondate e cose simili (leggere il puntuale e divertente elenco di Cerasa sul “Foglio” riguardo alle fantasie salviniane sul tema) annuncia disponibilità a collaborare che sono fatte per non essere accolte.

Si veda la doppia proposta di Giorgia Meloni: collaboriamo ma, a) il governo deve ammettere le proprie colpe (si chiama chiedergli di impiccarsi con le sue mani), b) ci vuole un patto per cui a fine emergenza si andrà ad elezioni immediate con garanzia al riguardo del Capo dello Stato. Ovviamente un salto mortale senza rete: primo perché per il verificarsi della condizione bisogna prevedere che la pandemia finisca entro gennaio prossimo (altrimenti il combinarsi di tempi tecnici e semestre bianco le rende impossibili); secondo perché si chiede a Mattarella una garanzia che costituzionalmente non è nei suoi poteri dare. Ma si può andare avanti così, si chiede qualsiasi osservatore disincantato?

La fiducia nella politica precipita di giorno in giorno, con la gente che ondeggia fra una rassegnazione rabbiosa e una rabbiosa protesta: due sentimenti su cui non si costruisce una risposta condivisa all’emergenza che travolge il nostro paese come tanti altri (e, per cortesia, risparmiateci l’osservazione idiota che ci sono quelli che stanno molto peggio: sarebbe come dire che i nostri poveri devono essere contenti perché in altri continenti si muore di fame…). Il problema maggiore è che non si vedono in atto interventi che non siano quelli del già denunciato sussidistan: a chi è colpito daremo sostegni a fondo perduto. Non è che non sia giusto farlo, è che una volta di più non si vede la consapevolezza di come lo si possa fare senza generare squilibri. Il ragionamento è semplice. Ristoriamo il reddito perduto di proprietari di ristoranti, bar, palestre, ecc., ma i loro dipendenti, i loro fornitori che perderanno il cliente, e via elencando, come li sosterremo? Se ci si addentra in questi ragionamenti, si capisce facilmente che ci si inoltra in un terreno che creando ulteriori disuguaglianze (non bastassero quelle fra chi ha lo stipendio garantito dal pubblico e gli altri) alimenterà tensioni e problemi di ordine pubblico.

Ci si infileranno i facinorosi di varia estrazione? Sta già avvenendo e può incrementarsi, ma di nuovo ciò porrà di fronte ad altre alternative drammatiche: tollerare, perché nelle manifestazioni in fondo si foga una rabbia comprensibile, o reprimere duramente perché non si può lasciar spazio all’anarchia? Ovvio che ad un certo punto diventerà difficile non imboccare la seconda via, con tutti i problemi del caso. Insomma ci troviamo davanti non tanto a misure più o meno drastiche, ma a misure disorganizzate e prese solo a livello di titoli. Prendete il problema dell’insegnamento a distanza alle superiori. Se la ministra Azzolina anziché impuntarsi a difendere una partecipazione in presenza che non appare sempre realizzabile, si impegnasse per organizzare bene ed efficacemente l’insegnamento a distanza svolgerebbe meglio il suo compito.

Per quel che sentiamo in giro, l’insegnamento a distanza non copre la più banale delle esigenze: un numero eguale di ore di insegnamento per materia. In un liceo di Bologna l’insegnamento settimanale di inglese passa da tre ore ad un’ora a settimana: lo si può ritenere accettabile? Questo fatto priva dell’apporto educativo assai più della mancanza di una presenza che per ragioni oggettive non si riesce a garantire. I medici continuano a dirci che bisogna alleggerire la pressione sui Pronto Soccorso ospedalieri, ma nulla è stato fatto. La riforma Balduzzi (governo Monti: 2012!) prevedeva una medicina territoriale attiva h 24, ma non la si è vista. Non ci risulta nessuna attività specifica per portare i medici di base a disporre di quanto è necessario per collaborare ad alleggerire gli ospedali del loro carico. Aggiungiamoci che ha dovuto intervenire ieri Mattarella a ricordare che anche altri malati hanno diritto a continuare a godere dell’assistenza necessaria, perché un malato oncologico o cardiopatico solo perché non è “infettivo” non ha meno diritto ad essere tutelato di uno di Covid.

E’ su questo complesso di problemi che dovrebbe concentrarsi l’azione, possibilmente cooperativa, di governo, partiti di maggioranza e di opposizione, istituzioni regionali e comunali. Il resto è corsa non a crearsi consenso, ma ormai a farselo erodere progressivamente dalla scarsa credibilità di un dibattito politico interessato più ad un miope sfruttamento dell’emergenza che a gestire con successo una battaglia per uscire dalla pandemia nel miglior modo possibile.


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