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Giuseppe Conte

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Nei palazzi della politica lo hanno ribattezzato «il sottovalutato». Non c’è santo giorno che qualcuno della maggioranza o dell’opposizione non si alzi e dica: «Beh, direi proprio che l’abbiamo sottovalutato. L’uomo non solo è abile ed è un fine giurista, ma sembra essere il migliore di tutti noi».

Il protagonista del film che si intitola «il sottovalutato» è appunto Giuseppe Conte da Volturara Appula, quell’avvocato del popolo, sconosciuto ai più fino a ventinove mesi fa, entrato a Palazzo Chigi dalla porta di servizio, mai una parola fuori posto, marcato a uomo da due vicepremier in rampa di lancio, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, uno leader del M5S, l’altro della Lega.

Al punto da farlo sembrare il vice dei vice, o al più il portavoce dei populisti gialloverdi che lo costringevano a fare la voce grossa con Angela Merkel e con mezza Europa. Pian piano però «Giuseppi» non solo ha preso coraggio, non solo ha iniziato a tessere una tela con le cancellerie, grazie alla quale è riuscito a conquistare chi inizialmente lo osservava con diffidenza, ma si è reso protagonista di una operazione politica che gli ha consentito di riindossare la casacca da premier ma con una maggioranza ideologicamente differente.

Da gialloverde a giallorosso, da destra a sinistra, da sottovaluto a temuto, da sconosciuto a presenza fissa nelle case degli italiani. Vuoi per una pandemia che ha scosso il mondo intero, vuoi forse per una classe dirigente che non brilla, Conte sembra sempre che stia per cadere da un giorno all’altro, ma poi quasi sempre si salva.

«La fragilità del sistema politica è la sua forza» graffia un vecchio dirigente democristiano. Da settimane c’è un pezzo di maggioranza, ascrivibile a Matteo Renzi, che lo pungola, a tratti lo bastona e lo processa, chiedendone nemmeno a bassa voce la sua testa. Quarantotto ore fa è stato il turno di Andrea Marcucci. Il presidente dei senatori del Pd di rito renziano ha preso la parola a Palazzo Madama chiedendo conto a Conte della sua squadra. Nemmeno il tempo di scandire quelle parole e il “renziano” Marcucci è stato rimbrottato da mezzo PD, Nicola Zingaretti in testa.

«Il governo non si tocca. E tantomeno Conte» è stato il messaggio recapitato a Marcucci. Va da sé che in questo grande gioco che consiste nell’accompagnare Conte fuori dal Palazzo partecipano anche Matteo Salvini e Giorgio Meloni. I due leader sovranisti ci provano da settimane a indebolirlo, a snervarlo, ma i risultati appaiono scarsi. Accerchiato e preso di mira, «il sottovalutato» non si scompone, si mostra all’esterno come un leader navigato e vola alto: «È la situazione sociale che mi preoccupa». Insomma, veicola un messaggio che suona più o meno così: «Le manovre e i giochetti mi scivolano addosso».

E mentre tutto questo si consuma, Conte parla con Massimo D’Alema, fa asse con il superministro Roberto Gualtieri, e viene corteggiato da Silvio Berlusconi. Il Cavaliere di Arcore non solo lo stima ma pare abbia detto: «Forse ho trovato chi può raccogliere la mia eredità».


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