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Giorgia Meloni

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Giocare da numero uno la prossima partita. Non è dato sapere quale partita perché l’allenamento potrebbe essere ancora lungo e faticoso. E arrivare a durare anche più di due anni. Ovvero, fino alla conclusione della legislatura.

LA RISALITA

Fatto sta che Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e astro-nascente della destra italiana, si trova in una situazione particolare: cresce nei sondaggi, la sua creatura ha superato il Movimento Cinquestelle di Luigi Di Maio e company, e, stando all’ultima fotografia del sondaggista Fabrizio Masia (Emg Aqua), la pasionaria di Fd’I è in testa alla classifica dei leader.

Insomma, per un soffio avrebbe superato quel Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio in carica che, dopo aver veleggiato oltre il 50 per cento ai tempi della prima ondata, adesso a fatica insegue «Giorgia». Eppure, nelle riunioni che settimanalmente svolge con i suoi fedelissimi, il dilemma che emerge è sempre lo stesso: «Cosa fare di questo consenso?».

CRISI EVITATA

Perché la legislatura sembra essere anestetizzata, la pandemia ha di fatto impedito una crisi di governo, un rimpasto, figurarsi un ritorno anticipato alle urne. E allora «Giorgia», consapevole di rappresentare una novità nell’agone politica del Bel Paese, continua a lavorare giorno e notte seguendo due direttrici: aumentare il radicamento sul territorio e martellare il governo a livello parlamentare. Va da sé che ella non ha alcuna intenzione di tendere la mano all’esecutivo. «A scatola chiusa non votiamo» replica ieri ai cronisti che le chiedevano come si comporterà Fratelli d’Italia quando il Parlamento dovrà dare il via libera al nuovo scostamento di bilancio. Forte del fatto di essere l’unica forza a non aver mai governato, Meloni preferisce tenere il punto e si colloca nel mezzo fra le sgrammaticature di Matteo Salvini e le aperture nel segno dell’unità nazionale di Silvio Berlusconi. Nell’attesa riflette su un’altra annosa questione che la attanaglia da circa cinque anni. Candidarsi o non candidarsi al Campidoglio? Nei palazzi della politica i bookmakers la darebbero per vincente. Non c’è voce dissonante sul dossier: «Se scende in campo, vince a mani basse». La partita è assai importante. Per dirla con Goffredo Bettini, «il sindaco della Capitale vale più di un primo ministro».

COME IL 1993

Nel 1993 Gianfranco Fini sfidò Francesco Rutelli conscio che la mancata vittoria sarebbe stata un trampolino di lancio per la leadership. E in effetti da quel momento in poi è iniziata la parabola ascendente del finismo, di una destra europea, riconosciuta a livello internazionale, e in fondo alternativa a quella di Silvio Berlusconi. «Se solo non avesse fatto lo strappo, oggi Gianfranco sarebbe il capo del centrodestra» ammettono con un pizzico di malinconia alcuni ex colonnelli di via della Scrofa.

Di certo, Giorgia avrà un ruolo decisivo quando assieme agli altri componenti del centrodestra dovrà scegliere il profilo del candidato al Campidoglio. Raccontano che Meloni vorrebbe puntare le fiches o su una figura della società civile o al più sulla giovane consigliera comunale di FdI Chiara Colosimo, più che una fedelissima, alla quale ha affidato l’organizzazione della kermesse di Atreju. Eppure in queste ore, diversi esponenti del partito non escludono che alla fine possa essere «Giorgia» la carta del centrodestra. Ma questa volta, a differenza della candidatura Fini, Meloni potrebbe farcela. Ed è proprio questa la sua paura.


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