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Giuseppe Conte

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Palazzo Madama è deserto. Silenzio. Nel cortile che si trova a pochi dall’ingresso un commesso allarga le braccia: «Oggi è san giovedì». Settimana corta, cortissima, il display collocato nel salone Garibaldi guarda avanti: «Il Senato è convocato mercoledì 9 dicembre, alle 16, per le comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre». Tradotto, quel dì sarà il giorno del voto sulla riforma del Mes, la parola che i Cinque Stelle non possono e non vogliono pronunciare, figuriamoci votare.

Eppure è altresì vero che il 9 dicembre sarà una giornata spartiacque per la storia della legislatura. Perché a un certo punto si dovranno votare le risoluzioni di maggioranza e minoranza. E il governo di Giuseppe Conte dovrà superare l’ostacolo, altrimenti arrivederci e grazie. Il punto è che i Cinque Stelle si sono messi di traverso. Cinquantasei fra deputati e senatori hanno vergato una lettera nella quale mettono sotto accusa i vertici del Movimento. Secondo i firmatari in questi mesi è cambiato «il contesto macroeconomico legato alla pandemia Covid che rende ancora più inadeguato questo strumento». Dunque no Mes. Sempre.

Va da sé che a questo punto i rischi di un voto contrario sono sotto tutti gli occhi. E soprattutto il rischio che la maggioranza non abbia i numeri in Senato è assai alto. Eppure ora dopo ora gli angoli si smussano. La resa dei conti dei grillini è rinviata a questa sera alle 20 e 45 quando si terrà un’assemblea dei gruppi del Movimento. «Se Vito Crimi e i capigruppo si presentano con una posizione di compromesso tutto si risolve e il caso rientra» assicura un pentastellato di alto rango. «C’è il tempo per trovare una mediazione» ammette un’altra voce del Movimento assai ascoltata dai vertici. E allora non è un caso se Alfonso Bonafede in mattinata si pronuncia in questi termini: «I parlamentari del M5s che hanno scritto la lettera specificano che non c’è nessun problema per la maggioranza. Il governo non rischia: non si vota sull’utilizzo del Mes ma sulla riforma. Nella maggioranza c’è una differenza, M5s su questo è chiaro, non voterà  mai su utilizzo Mes». Da più parti si vocifera che alla fine il compromesso potrebbe suonare più o meno così: «L’Italia dirà sì alla riforma del Mes, ma qualsiasi richiesta di credito relativo al fabbisogno sanitario dovrà essere subordinata a un voto parlamentare».

E poi c’è il fattore B. che sta per Berlusconi. Come si comporteranno le truppe di Silvio Berlusconi? Quale sarà l’atteggiamento dei senatori azzurri? In una nota di qualche giorno fa il Cavaliere si è espresso in questi termini: «Il 9 dicembre non sosterremo in Parlamento la riforma del Mes perché non riteniamo che la modifica del Meccanismo di stabilità approvata dall’eurogruppo sia soddisfacente per l’Italia e non va neppure nella direzione proposta dal Parlamento europeo». Apriti cielo. Il gruppo azzurro è esploso. «Ma non facciamo parte del Partito popolare europeo che è favorevole alla riforma?». In queste ore diversi fedelissimi del Cavaliere rumoreggiano, non condividono l’idea di accodarsi al duo sovranista Meloni e Salvini. Leggi alla voce Renato Brunetta, il responsabile economico ha già fatto sapere che si esprimerà a favore del Mes e della sua riforma.

E allora cosa succederà? Annamaria Bernini, capogruppo di Forza Italia in Senato, si esprime così: «I senatori azzurri si muoveranno come sempre compatti, nel rispetto delle indicazioni del presidente Berlusconi». Qualche defezione ci sarà. Di certo i tre senatori dell’Udc che fanno parte del gruppo di Forza Italia voteranno a sostegno della riforma. Ma in linea di massima, secondo le indiscrezioni raccolte dal Quotidiano del Sud, Forza Italia dovrebbe muoversi come un moloch. Anche perché ironizzano: «Al Senato i berlusconiani di rito salviniano sono la maggioranza». Al massimo si registreranno una serie di astensioni. O, come confessa un senatore alla quarta legislatura, «ci saranno le assenze tattiche». Occhi puntati sul gruppo Misto che è sì eterogeneo ma ha al suo interno anime diverse, dalla sinistra più radicale (LeU) a Cambiano di Giovanni Toti. Ecco perché alla fine in tanti sostengono che «Giuseppi passerà la prova a pieni voti».


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