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Matteo Renzi e, sullo sfondo, Giuseppe Conte

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Se finora si era guardato alla riforma del Mes come lo scoglio contro cui il governo avrebbe potuto infrangersi, ora la tenuta della maggioranza sembra messa a rischio proprio da quella che rappresenta l’ “occasione storica” per la ripresa e la ricostruzione che l’Europa ha consegnato all’Italia con i 209 miliardi del Next Generation Eu. Sulla governance per la gestione dei fondi europei si è consumato un duro scontro che ieri ha portato alla cancellazione del Consiglio dei ministri, in programma nel pomeriggio, per dare il via libera alla task force e al Piano di ripresa e resilienza.

Nella riunione di lunedì a Palazzo Chigi prima, nel pre consiglio andato avanti fino alle due di notte poi, è il ministro Teresa Bellanova a porre il veto di Italia viva sulla struttura di missione così come l’aveva immaginata il premier Giuseppe Conte: a Iv non piace la cabina di regia, come non piace lo strumento legislativo cui verrebbe affidata: bocciato l’emendamento alla legge di Bilancio inizialmente previsto, bocciato anche il decreto legge.

Poi a scendere in campo è direttamente Matteo Renzi che alza il livello della tensione, fino a ventilare la rottura con Conte. «Spero proprio di no, però temo di sì perché insistere su una misura che sostituisce il governo con una task force, che sostituisce la seduta del Parlamento con una diretta Facebook e addirittura pretende di sostituire i servizi segreti con una fondazione privata voluta dal premier significa una follia. Abbiamo mandato a casa Salvini perché non volevamo dargli i pieni poteri, ma non li diamo a Conte», risponde a chi gli chiede di chiarire la sua posizione. L’attacco parte dal Recovery e si allarga a tutto campo, quindi. «Il mio appello a Conte è a fermarsi. Perché fa del male al governo. Gliel’ho detto personalmente. Il presidente del Consiglio ha tutto l’interesse, nel nome dell’Italia, a fermarsi prima di fare un pasticcio istituzionale, prima che politico». E Renzi crede che più della sua moral suasion possano essere i numeri a indurre il premier a tornare sui suoi passi: sul Recovery, dice, «non credo che il presidente del Consiglio andrà avanti su questa posizione, a meno che non abbia accordi che non conosciamo. Se ha fatto i conti, o ha una maggioranza di cui non siamo a conoscenza, o razionalmente si ferma e cerca di mettere insieme la sua maggioranza. Non credo che si impunterà. In caso lo faccia, il Parlamento è sovrano».

Quello che il leader di Italia viva vede come fumo negli occhi è la possibilità che a gestire i fondi possano essere consulenti alle dirette dipendenze del premier. E non si nasconde dietro giri di parole: «Non ci sederemo intorno a un tavolo dove la torta da 200 miliardi è pensata per i consulenti romani e non per i cittadini italiani. Voglio che ci siano soldi del Mes per la sanità. Meno soldi a consulenti e agli amici degli amici. Se le cose rimangono come sono voteremo no». «Se il tema sono le poltrone, siamo disponibili a lasciare anche le nostre tre in Consiglio dei ministri – gli fa eco in serata Maria Elena Boschi – ma il tema che poniamo che poniamo noi, invece, sono i 6 commissari tecnici, che si sostituiscono ai ministri. Noi chiediamo invece che i ministri facciano il proprio lavoro nell’interesse dei cittadini».

Renzi va allo scontro diretto, e in tanti sono pronti a scommettere che chiusa la partita sulla legge di stabilità aprirà la crisi di Capodanno. Ma anche negli altri partiti di maggioranza, Pd in primis, le acque sono agitate, e le tensioni tra governisti e non sono palpabili. Nel governo, intanto, se il ministro della Cultura, Dario Franceschini del Pd, parla di «passi avanti» e «polemiche strumentali», il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, capo delegazione dell’ M5s, chiede «senso di responsabilità» e sostiene che «ci sarà ancora la possibilità di confrontarsi in Consiglio dei Ministri e in Parlamento». Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, getta acqua sul fuoco sostenendo di non credere che il governo sia a rischio, «poi – dice – sicuramente è un governo fatto da diverse forze politiche che hanno visioni differenti e questo è anche normale».

Intanto, mentre Palazzo Chigi e il Mef confermano l’assetto della struttura di missione (comitato politico a tre: Conte, Gualtieri e Patuanelli; sei manager chiamati a coordinare l’attuazione del Piano), limitandosi ad assicurare maggiori garanzie sui poteri sostitutivi dei capimissione, la Commissione europea smentisce che la task force voluta da Conte risponda a una precisa richiesta dell’Europa. La Commissione europea «non ha mai dato alcuna linea guida, né formale né informale, su come organizzare la struttura politica per preparare i piani nazionali o amministrare i fondi» che arriveranno all’Italia con il Recovery Fund, afferma Marta Wieczorek, portavoce della Commissione per gli affari economici, commentando le voci arrivate a Bruxelles, aggiungendo che «la scelta su come organizzarsi» per programmare e spendere i fondi «è solo nelle mani del governo italiano».


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