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La Camera dei deputati

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La mia generazione giocava con la scatola del Meccano con cui si costruivano ponti, gru e carretti. Costruivamo. Oggi i costruttori sono diventati una figura politica. Non chiamateli più voltagabbana e nemmeno responsabili, perché l’idea che deve passare è quella del muratore, già simbolo della massoneria il cui nome originale è quello dei Free Masons, i liberti muratori o massoni. Tutta gente col compasso, le viti, la colla, la calce e il mattone. Sporcano, ma il manufatto resta.

Posso parlare con cognizione di causa: sono sempre stato un giornalista da quando avevo vent’anni ed ora ne sono passati sessanta, fatevi i conti. Ma pur seguitando a scrivere, per undici anni sono stato in Parlamento, sette anni come senatore e cinque da deputato. Avendo a suo tempo rotto con il mio partito per profondi dissensi sulla politica estera, passai al gruppo misto e fui poi vicesegretario del Partito liberale, una creatura quasi simbolica, ma proprio quella originale. Arrivò il momento in cui si dovette scegliere se far cadere il governo Berlusconi o sostenerlo e decisi di sostenerlo perché mi sembrava comunque la cosa migliore da fare per la politica italiana.

Da allora e per anni fui linciato come voltagabbana, situazione che avevo già vissuto in senso inverso, per così dire, dal momento che pur provenendo dal partito socialista ed essere considerato un uomo di sinistra, mi ero candidato con molti altri intellettuali e giornalisti di sinistra con Berlusconi. Il vituperio fu continuo e senza sosta. Mi resi così conto che agli elettori italiani è stata venduta una informazione falsa del loro rapporto con il Parlamento.

Nei Paesi che la democrazia l’hanno inventata – prima di tutto il Regno Unito – esiste una sorta di contratto fra il rappresentante (deputato e senatore) e quella che in inglese si chiama “constituency”, cioè l’elettorato del singolo collegio che vota un suo rappresentante e lo spedisce in Parlamento. Dove la democrazia è autentica, i partiti contano ma non come in Italia. Il giudice del parlamentare è solo il suo elettore che potrà fare una delle due cose possibili: rieleggerlo o sostituirlo. Il parlamentare agisce in piena libertà di coscienza e in accordo con il suo elettorato, anche se ovviamente ha bisogno che l’organizzazione del partito lo sostenga, a meno che non sia tanto forte o tanto ricco da poter correre come outsider.

In Italia è stato invece fatto passare un falso messaggio: deputati e senatori sono impiegati dei partiti ai quali gli elettori pagano lo stipendio e dal loro comportamento va dedotto se sono dei servi fedeli o infedeli dei partiti. Se sono bravi pupazzi automatici che votano tasto verde o tasto rosso secondo le indicazioni, sono buoni e fedeli; qualora manifestino idee proprie o addirittura dissenso dal partito che li ha messi in lista, diventano invece dei luridi traditori,

Eppure, la Costituzione è chiarissima in proposito perché afferma che deputati e senatori svolgono il loro compito di rappresentanti (non un posto di lavoro, ma un ruolo) “senza vincolo di mandato” e cioè rispondendo soltanto alla propria coscienza e a quella di chi li ha eletti. Ma è assolutamente ovvio e normale che dal momento delle elezioni, in un Paese come l’Italia dove la politica è vischiosa e contraddittoria, la storia di ogni singolo rappresentante svolge, cambia e in molti casi provoca dei cambi di posizione politica.

La “gabbana” era una specie di soprabito con i colori della famiglia gentilizia di cui chi indossava questo indumento era servitore. Dunque, il “volta-gabbana” era il servitore infedele che dopo essere stato assunto da un signore, passava poi ad un altro che lo pagava meglio, sicché ricorreva all’espediente di voltare la propria gabbana per nasconderne i colori originari.

Quando un deputato o un senatore lascia il proprio partito e si separa, cambia anche il suo posto in aula ed entra nel gruppo misto, in genere appollaiato nelle ultime file in alto. Quando un governo comincia ad andare in crisi perché le alleanze che lo sostenevano scricchiolano, è inevitabile che il governo stesso adocchi quel nido di creature spaiate del gruppo misto ed offra loro uno scambio: certamente mai di soldi, ma di ruoli o la promessa (in genere non garantita) di una sicura rielezione, oppure un posto da sottosegretario o altri ruoli.

Tutto ciò è entro certi limiti normale, specialmente quando nel Paese si verifica una evoluzione politica imprevista che modifica le posizioni di partenza e il Parlamento si trova ad essere sempre meno simile al proprio elettorato.

A farla breve, l’attuale Parlamento oggi ha pochissimo a che fare con il popolo che lo ha eletto e che nel frattempo – come si può vedere da sondaggi, elezioni regionali e altri indicatori – ha cambiato opinione, come è accaduto ai Cinque Stelle che hanno perso pezzi e quote di influenza. Ovviamente vale anche la regola del tacchino, animale al quale non si può chiedere se è contento dell’arrivo del Natale. E i deputati che sanno o dubitano di essere rieletti entrano in una sindrome ben nota e penosa. Tale sindrome è aggravata dal fatto che le banche interne al Parlamento offrono a deputati e senatori dei generosi fidi e convenienti mutui di cui l’area più povera e ruspante degli eletti fa di solito immediato e largo uso, contando in genere sul prolungamento della loro vita di clienti di questi servizi bancari.

Tornando allo stato di “ex”, il parlamentare si trova spesso in condizioni angosciose e precarie. Dunque, la prospettiva di salvare il governo e possibilmente la legislatura da una fine prematura può entrare nelle considerazioni inappropriate ma prevedibili dei rappresentanti più imprudenti. Resta il fatto che la copertura politica spesso è ineccepibile: tu che hai lasciato il tuo partito e che ti sei appollaiato nel gruppo misto, vedendo che il governo che tu non sostenevi potrebbe cadere arrecando male e disordine ad un Paese già afflitto da debiti, epidemie e spasmi, può prendere la decisione peraltro del tutto costituzionale di sostenere l’esecutivo per motivi di responsabilità. Ma, come i nostri lettori hanno notato, nelle ultime settimane c’è stata una bizzarra e anche comica evoluzione della faccenda dei responsabili.

Quando il Presidente del Consiglio – o i suoi consiglieri – ha fatto intendere di poter far ricorso ad un gruppo di “responsabili” per parare il colpo di un voto negativo degli ex alleati di Italia Viva, dai banchi del Partito democratico si è levato un urlo: “Mai con i responsabili!”. Non cadremo mai così in basso. Ma per fortuna il Presidente della Repubblica ha fatto un discorso molto saggio e realista in cui ha avvertito che questo è il momento di chi costruisce non di chi distrugge, ed ecco che è nata una nuova creatura parlamentare: il “costruttore”. Che sarebbe tale e quale al responsabile, solo che si è modernizzato. Che cosa è cambiato? Forse il parlamentare con le sue angosce?

No, è cambiata l’opinione del Partito di Zingaretti che sdegnosamente aveva rigettato come infame l’offerta di far sostenere o, governo dai responsabili, ma che ha trovato invece accettabile ed anzi geniale quella dei costruttori, gente laboriosa forse un po’ impolverata dall’uso della malta e della calce, ma che costruisce per il bene del Paese. Sì, lo so, è una faccenda ridicola, ma non ho inventato nulla.


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