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Giuseppe Conte nel giorno della fiducia in Senato

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Tregua dopo la battaglia, ma naturalmente tregua armata, perché tutti si preparano per la prossima. Il governo rimane in carica per quanto traballante ed il premier è impegnato a cercare di contenere più la seconda ondata dell’attacco parlamentare che quella del virus. La situazione al momento è stagnante, ma si lavora per sbloccarla. Già, ma come? Le opzioni sono più d’una. Quella che sembra rimanere prevalente è la costruzione della mitica quarta gamba. Sbertucciata più o meno dagli osservatori di una qualche autorevolezza, non ci si rassegna però a metterla da parte, perché Conte sembra essersi incaponito su quella. Il problema è che deve dare vita ad un nuovo “partito”, alias gruppo parlamentare, perché solo così ci sarebbe lo strumento per chiedere posti nelle commissioni parlamentari dove invece senza IV il governo è in minoranza e anche per riequilibrare la situazione nella conferenza dei capigruppo. Sono passaggi che sfuggono alla gente, ma che i politici e i tecnici conoscono benissimo (e fra questi va incluso anche Mattarella).

Alla Camera sembrerebbe che la faccenda sia un po’ più facile perché c’è a disposizione Tabacci che conosce il mestiere, ha un simbolo centrista, e dunque, ammesso che raggranelli qualche ulteriore proselita, potrebbe portare a termine l’operazione con un minimo di decenza (che poi sia triste vedere un uomo che aveva una sua storia di qualche spessore ridotto a questo ruolo è un altro paio di maniche). Al Senato tutto è molto complicato.

Un personaggio analogo a Tabacci non è a disposizione e l’elenco dei “volonterosi” non è di quelli che si scorrono con piacere. Si dirà che sono i numeri che contano, ma bisogna ricordare una vecchia battuta, se non andiamo errati di Gianni Agnelli, per cui i numeri anche si pesano: questi sono pesi piuma per non dire di peggio. E poi c’è sempre da valutare il “costo” di queste operazioni: ci sono “spoglie” da distribuire per accontentare tutti e i candidati a riceverle in parte non danno garanzie di fedeltà (è gente che è passata per più partiti nel suo itinerario), in parte vogliono mantenere un tasso di protagonismo che sarà indispensabile per giocarsi la partita quando si arriverà alle prossime elezioni e ciò significa scarsa propensione a fare squadra.

Teniamo poi conto che la distribuzione di prebende non è operazione da prendersi alla leggera: mettere persone sbagliate o poco affidabili in ruoli di qualche importanza significa poi avere una cattiva gestione di quei ruoli e con le condizioni attuali non ce lo possiamo permettere. Per paradosso costa meno la corruzione alla De Gregorio: gli dai dei soldi e finisce lì (sebbene in quel caso poi si ebbero anche incarichi politici). Per fortuna sulle posizioni più delicate c’è un filtro, esplicito o implicito, del Quirinale e speriamo possa bastare.

Questa analisi ci porta a presentare la seconda ipotesi in campo: un nuovo governo. Non fissiamoci sulla questione di chi lo dirigerà, perché quanto stiamo per dire vale anche nel caso di un Conte 3. Il primo vantaggio è che un nuovo esecutivo nascerebbe ripartendo da zero e ciò consentirebbe ai partiti della coalizione di negoziarne abbastanza liberamente la formazione. Si ridimensionerebbe non solo il ruolo di Conte, nel caso fosse lui il premier designato come è probabile, ma si darebbe a tutti la possibilità di contrapporre alle richieste inaccettabili degli aspiranti sostenitori la loro incompatibilità col complesso delle sistemazioni che si devono raggiungere con l’accordo di tutti. Si obietterà: ma così quelli della quarta gamba (e magari anche alcuni della maggioranza) ritirerebbero i voti. Improbabile, perché col fallimento della formazione di un nuovo governo, la via delle elezioni anticipate diventerebbe inevitabile e per di più con un governo tecnico a gestire i mesi di transizione. Tutta roba che la quasi totalità dei “volonterosi” vedrebbe come un disastro per loro.

Il secondo vantaggio è che si potrebbe davvero provare a mettere in piedi una squadra all’altezza delle sfide in campo. Quella attuale è stata selezionata, diciamo la verità, avendo in mente tempi molto meno drammatici e impegnativi di quelli attuali. Non dovrebbe volerci molto a capire che se uscissimo da questa crisi con un governo di più alto profilo questo ci aiuterebbe moltissimo sulla scena europea e più in generale su quella internazionale. Un Recovery Plan varato da un esecutivo di questo tipo, con alle spalle un serio confronto parlamentare dove mettere alla prova quelli che vogliono essere responsabili di fatto e non di soprannome, che potrebbe rianimare il confronto con le parti sociali ricompattando il paese, sarebbe un bel passo avanti.

Vista in astratto non si capisce perché Conte non colga quanto questa soluzione rafforzerebbe anche il suo ruolo e lui personalmente. I suoi cinici consiglieri, a cui importa più della perdita del loro peso e ruolo che non la crescita del suo, gli prospettano che una volta date le dimissioni non c’è certezza di ritornare a palazzo Chigi. In realtà le probabilità che questo avvenga al momento sono scarse, a meno che non lui si incaponisca a giocare male le sue carte. Giusto o sbagliato che sia, per ora non si vede chi altri possa tenere insieme l’attuale maggioranza che è la sola possibile.

Il PD, ma anche il balcanizzato M5S lo sanno bene. Del resto se Conte insiste nella soluzione della ricerca della quarta gamba (di legno) ben che vada tirerà avanti qualche mese e poi cadrà. Con l’altissima probabilità di una caduta ingloriosa.


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