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Però mancano le parole. Grillo posta il fotomontaggio di Draghi sul cornicione e di Mattarella alla finestra che gli parla. Appunto: per dire cosa? Vieni dentro perché Rousseau ha detto sì? O gli sta comunicando il responso negativo e supplica SuperMario di evitare l’insano gesto? Ma no, ma no: Beppe è un comico, vuol farci sorridere tutti, in primo luogo quelli che votano sulla piattaforma digitale e possono così nutrire la sensazione di decidere davvero e non di partecipare ad una competizione con esito scontato.

Tuttavia il fatto che l’afasia prevalga non è un caso. Le parole che mancano sono quelle della convinzione. L’Elevato ne ha gridate parecchie in questi giorni per superare l’imbarazzo di dover votare il “banchiere di dio” e non la rinnovata fiducia all’avvocato del popolo. Però non sono servite: il potere di convincimento è tutt’altra cosa dallo sberleffo riversato da un palco.

Ma sì, ma sì. In fondo il nocciolo del dramma che il MoVimento sta vivendo è tutto lì, in quel fotomontaggio. Le parole per dire che bisogna sicuramente rovesciare tutto ma in senso contrario alle origini del M5S non ci sono, non ci possono essere. E se non fanno presa quelle del Fondatore figuriamoci se si incuneano quelle dei ministri grillini: condivisibili sicuramente, ma forse agli occhi dei militanti un po’ tendenziose, diciamo in conflitto d’interesse.

Quel che è certo è che da adesso il MoVimento è ufficialmente spaccato; divaricato sul crinale maggiormente delicato; identitariamente più offuscato; politicamente – oltre che già elettoralmente – più debole.

Però attenzione. Il problema vero non sono il 59 per cento contro il resto, non i seguaci del no, non il fronte del rifiuto incarnato dai Di Battista, Lezzi, Toninelli e gli altri ribelli che rigettano la catechesi del numero Uno.

La realtà è che, al contrario di ciò che tanti agognano: ossia un bagno di ritrovata purezza nel catino rigenerante dei click informatici, la liturgia del voto online su Draghi testimonia l’eclisse della palingenesi del sistema che i Cinquestelle dovevano incarnare. Per rendersene adeguatamente conto è necessario rifarsi ad una bussola precisa: la governabilità del Paese. “Fateci governare, siamo l’ultima speranza degli italiani”, diceva accorato Grillo nel 2013. Cinque anni dopo gli italiani lo hanno accontentato assegnandogli il 33 per cento dei voti: un uragano di consensi che ha proiettalo il M5S nell’empireo della politica, gli ha consegnato le chiavi della cittadella del potere, gli ha spalancato i portoni delle istituzioni.

Quel consenso doveva essere il pilastro di qualunque maggioranza, l’emblema del cambiamento, la disfatta della Casta. E così è stato. In tre anni sono state sperimentate due coalizioni opposte, con la stessa guida. Entrambe, per motivi vari, non hanno funzionato. Mario Draghi è la testimonianza dell’incapacità grillina di manovrare le leve del Paese con competenza, efficacia, risultati. Il MoVimento ha indossato i panni dell’euroscetticismo e quelli degli aficionados della Von der Leyen. Hanno chiuso i porti e poi li hanno riaperti. Hanno “abolito” la povertà ma si sono arresi alla disoccupazione dei navigator. Hanno ottenuto il reddito di cittadinanza pagando il ticket di quota 100. L’elenco potrebbe continuare ma non serve.

Sul bastione della governabilità obbligata, l’Arca che aveva raccolto per ogni dove lo scontento degli italiani, si è spiaggiata. Il traino del cambiamento ora è al rimorchio della figura più lontana dalla narrazione e dalla visione pentastellata che ci sia. Il ministero della transizione ecologica ha preso il posto dell’apriscatole, rendendolo inservibile perché inutilizzabile: bisognerebbe rivolgerlo contro se’ stessi e non si può. Le cinque stelle sono diventate la metà nei sondaggi e qualcosa di simile potrebbe accadere anche nelle aule parlamentari.

Dalle 18 di ieri il M5S ha cambiato pelle e indirizzo politico. La crisalide che è uscita dal bozzolo deve orientarsi e non sarà semplice. Ci sono bandiere che forse dovranno essere ripiegate, come il giustizialismo che ha portato all’abolizione della prescrizione. Nessuno potrà chiedere ai Pentastellati di umiliarsi appiattendosi sulla figura del presidente del Consiglio. Ma nessuno potrà accettare colpi di coda da agitare sulla trincea dei No Tav.

Draghi tratterà loro come gli altri partner della maggioranza con rispetto e attenzione. Ma non farà sconti, non se li può permettere. E pure per i ribelli non ci saranno sconti. Chi si è tirato fuori dovrà poi decidere come comportarsi per il resto della legislatura. Se dare vita ad una pattuglia di irriducibili che punteranno a far saltare il quadro politico magari scindendosi dal MoVimento è cercando di metterlo in mora sui singoli provvedimenti, oppure se al contrario usare l’estintore dosando il getto per spengere i fuochi della contrapposizione.

Quel che è sicuro è da ieri che la creatura di Grillo non è più la stessa né tornerà ad esserlo. Il che pone una gigantesca questione di riassetto del quadro politico che riguarda non solo i Cinquestelle ma tutte le forze politiche. Anche di questo Draghi dovrà necessariamente tener conto. Però un passo alla volta. Ora c’è il programma da completare e la squadra dei ministri da definire. Poi comincerà la navigazione e si farà il conto di chi sta col Comandante e chi si ammutina.


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