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Il premier Mario Draghi

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Adesso tutti curvi sui manubri e sotto a pedalare. Con l’uso di questo idioma popolare si rappresenta bene cosa la gente si aspetta dal governo, soprattutto adesso che è finito lo spazio concesso allo sfogatoio dei partiti. Il procedimento di nomina dei sottosegretari ha mostrato quanto le forze politiche non siano cambiate. Le logiche di selezione sono state più o meno quelle di sempre: persone “fidate” (per leader e capi corrente), per quanto possibile in continuità col passato (sono ruoli che fanno visibilità e qualche potere, chi c’era se può non ci rinuncia), col compito anche di piantare bandierine di parte facendosi concorrenza fra loro (e magari anche coi ministri, se ci si riesce). La piccola nota positiva è stata l’aver riscontrato che Draghi è un realista, e dunque si assoggetta a certe liturgie, ma fino ad un certo punto, perché non ha consentito che i giochetti di alcuni capi corrente andassero avanti minando la credibilità della coalizione.

Basterà? Non è una frase fatta dire che lo scopriremo vivendo. Per quel che si capisce, al momento la pandemia non lascia troppi margini di manovra alla politica politicante. L’allarme per una recrudescenza nella circolazione del virus sta crescendo. Di conseguenza riappare fra i politici qualche pulsione a ricadere nella vecchia rappresentazione da commedia dell’arte con il solito scontro fra rigoristi e aperturisti, ma è un gioco dei ruoli sempre più stucchevole. La gente si chiede quando la campagna vaccinale diventerà efficace come risposta a questa fase, sia essa una continuazione della seconda o l’inizio della terza (non si capisce poi quale gran differenza ci sia).

Non si può dubitare che ci sia un impegno da parte di Draghi e della sua equipe a superare l’impasse nella fornitura dei vaccini. Alla faccia di quelli che hanno sbandierato le meraviglie di un’Italia che era prima nel mondo per quantità di dosi somministrate, è del tutto evidente che così non è. Molto facile dire che invece di perder tempo a far disegnare primule stilizzate e ad inventarsi artistici gazebo per vaccinare sarebbe stato meglio applicarsi a procurare le dosi. In realtà quel compito è stato devoluto all’Unione Europea che, va detto, non si sta dimostrando all’altezza. Non è una colpa del precedente governo, ma è sicuro che le sceneggiate a pro dei media come sono state le campagne delle primule (e come a suo tempo furono i banchi a rotelle) dovevano essere evitate: non tanto per i costi inutili (in definitiva non gran cosa), quanto perché finiscono per dare un messaggio di politica-spettacolo che indebolisce la fiducia delle persone nelle capacità di intervento delle istituzioni.

Il governo deve abbastanza rapidamente mostrare che si sta cambiando passo. È giusto che lo faccia introducendo uno stile di sobrietà nelle comunicazioni: dopo una stagione di presenzialismi che sfociavano spesso in sceneggiate, il pubblico apprezzerà uno stile serio che richiama alla complessità del problema che abbiamo davanti. Per questo il tweet improvvido di Zingaretti a difesa di chi porta la politica vicino alla gente sembra testimoniare una volta di più la presenza di staff (perché dubitiamo che l’abbia scritto il segretario di suo pugno ed iniziativa) che sono ancora figli della stagione del populismo a buon mercato.

Tuttavia Draghi avrà presto bisogno di poter esibire qualche risultato, non solo perché così rafforza la fiducia che l’opinione pubblica gli ha concesso, ma perché solo in questo modo potrà tenere a bada la voglia di protagonismo dei partiti della sua coalizione. Come si sta già vedendo, Salvini è costantemente al lavoro per accaparrarsi l’immagine di quello che tutela “il popolo” da presunte furie rigoriste. Nella sua narrazione questo aspetto ha sostituito la polemica sull’immigrazione, che al momento non tira (ovvio che ci tornerà sopra se ce ne fosse occasione), ma il vantaggio è che si tratta di un argomento che non contraddice la nuova patina di forza di governo tutto sommato moderata che vuol darsi.

I Cinque Stelle sono un magma in ebollizione, che devono trovare un ruolo a Conte per giustificare un loro passaggio al fronte liberal-moderato (Di Maio dixit): un’operazione da trapezisti senza rete, che ne fa un partner altamente instabile. Ciò significa che i loro ministri e sottosegretari dovranno gioco forza spendersi come supporti di questa operazione deviando dal disegno collettivo del governo.

Peraltro anche il PD è in una fase di ridefinizione della sua collocazione, con tensioni interne che non si possono sottovalutare. Non è chiaro come verrà affrontata questa partita, ma è difficile pensare che anch’essa non impatti sugli equilibri del sistema. Oltre tutto, tanto il PD quanto la Lega sono protagonisti chiave in quell’arcipelago di poteri che sono diventate le regioni e le grandi città. Con la crisi pandemica sono snodi non eludibili per la gestione dell’emergenza nei suoi diversi risvolti, quelli sanitari e vaccinali, ma anche quelli economico-sociali.

Se Draghi non riesce a rendere rapidamente evidenti una serie di interventi che fanno capire la strada nuova su cui ci si è incamminati e i possibili risultati a cui condurrà, ci saranno per lui dei problemi ad impedire che la componente politica (e/o politicante) della sua coalizione gli crei intoppi e delegittimazioni. Qualcosa che va proprio accuratamente evitato: la fase di decollo di un aereo è una di quelle in cui è più esposto a contingenze sfavorevoli.


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