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Il premier Draghi

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Da quando, esattamente trenta giorni fa, Mario Draghi ha ottenuto la fiducia in Parlamento, sul piano politico ci sono stati cambiamenti strutturali che hanno riguardato le tre principali forze della maggioranza. La Lega ha seppellito, quanto profondamente si vedrà, il suo euroscetticismo: attacca l’Europa quando lo ritiene, come nel caso dei ritardi sui vaccini, ma ha scelto di farlo da dentro il perimetro delle larghe intese, non fuori.

Il M5S ha stravolto la sua leadership e buona parte della sua fisionomia identitaria: ora aspetta che Giuseppe Conte completi il lavoro e si insedi sul ponte di comando. Il Pd ha cambiato bruscamente il proprio segretario. Nicola Zingaretti si è dimesso ed è stato sostituito da Enrico Letta: quasi uno shock che ora bisognerà riassorbire.

Sotto il profilo dell’azione di governo, il presidente del Consiglio ha modificato in profondità la governance per le vaccinazioni di massa sostituendo Arcuri con il generale Figliuolo, ha varato ieri (con qualche inciampo) il decreto sostegni in attesa di definire i termini di un nuovo scostamento di bilancio, ha in parte subito per poi riprendere l’iniziativa sul mezzo pasticcio del vaccino Astrazeneca.

Il giochino a “trova le differenze” tra l’ex presidente Bce ed il suo predecessore va bene (quando non diventa stucchevole) per i talk show. Nel concreto, ce n’è abbastanza per comprendere come l’arrivo a palazzo Chigi dell’ex governatore di Bankitalia abbia terremotato il quadro politico e avviato un passaggio di fase dagli esiti ancora in buona parte da decifrare. Ma è anche vero che tutto l’elenco di cui sopra aiuta a stabilire che il periodo, chiamiamolo così, di rodaggio del governo delle larghe intese è adesso alle spalle. Ora bisogna davvero cominciare a correre.

Detto brutalmente, ci sono 40 giorni entro cui SuperMario dovrà dispiegare al massimo le sue capacità di affrontare l’emergenza sanitaria e, soprattutto, avviare la fase di ricostruzione del Paese stabilendo le coordinate per la messa in sicurezza e il rilancio dell’Italia.

Tre sono gli aspetti decisivi. Il primo, obbligato ed evidente, è il piano di vaccinazione di massa. Ad aprile arriveranno milioni di dosi: non tutte quelle previste ma comunque una bella fetta. Da quel momento la macchina per iniettare centinaia di migliaia di dosi al giorno alle varie categorie di cittadini individuate come prioritarie, dovrà cominciare a funzionare a pieno regime.

È il discrimine più importante e Draghi come e più di prima sa che la sua autorevolezza può esercitarsi positivamente anche fuori dei confini nazionali (forse lo ha verificato anche con la Merkel), ma che allo stesso tempo il fardello di responsabilità è sulle spalle sue e dei ministri. L’opinione pubblica è incerta, impaurita, diffidente. Solo il buon andamento della vaccinazione di massa può fugare i timori e ridare fiducia nella macchina pubblica. Lo Stato c’è e ci sarà, ha scandito il premier nel giorno del ricordo della tragedia di Bergamo. È arrivato il momento di dimostrarlo.

Il secondo aspetto, naturalmente strettamente connesso al primo, concerne gli aiuti economici a chi sta più patendo i contraccolpi del Covid. Al di là delle singole misure, decisivo sarà se sul serio gli euro promessi arriveranno sui conti correnti dei cittadini: oltre l’aspetto di ristoro finanziario più che mai conta quello d’immagine. Lo Stato c’è e concretamente si manifesta sul piano anche personale del cittadino imprenditore di se stesso: piccolo, grande o piccolissimo che sia non importa.

Il terzo aspetto è in realtà il primo di importanza. Entro fine aprile, infatti, il governo italiano dovrà presentare il piano Recovery per attingere ai fondi del Next generation Ue. Di tutto si tratta tranne che di un esercizio contabile. In quel documento, infatti, Draghi è chiamato a delineare l’Italia che verrà; a riversare la indispensabile lungimiranza per stabilire i percorsi di crescita e sviluppo con tempi, modalità e iniziative specifiche; a descrivere i modi in cui il digital divide e le zavorre che appesantiscono lo slancio del Paese possano essere superati.

Le frasi ad effetto non hanno molto senso in questo scenario e di tutto gli italiani hanno bisogno tranne che di retorica. Tuttavia i prossimi 40 giorni rappresentano le architravi su cui poggiare la bontà della scelta del presidente Mattarella per una comunità che smette di essere ripiegata su se stessa, allontana i miasmi del declino incombente e riprende fiducia nel proprio protagonismo. Quaranta giorni in cui non ci sarà da agitare bacchette magiche ma semplicemente da mettere in fila le cose da fare e rispettare gli impegni. Ossia il compito che a Draghi riesce meglio.


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