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Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio

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La vicenda degli accordi di coalizione per la prossima tornata di elezioni nei comuni è una faccenda più complicata di quel che può sembrare a prima vista. Il test complessivo non è banale: si vota in più di mille comuni, ma soprattutto in alcune grandi città simbolo a partire da Roma (poi ci sono Milano, Torino, Bologna, Napoli, Trieste) su cui si appunteranno i riflettori. Quel che conferisce particolare rilievo a questo test è che viene fatto abbastanza in prossimità di un’altra scadenza tutt’altro che marginale: l’elezione del Presidente della Repubblica allo scadere del settennato di Mattarella ad inizio febbraio 2022.

E’ evidente che già di suo la tenuta o meno delle coalizioni che si contrapporranno nelle competizioni sui sindaci (uninominali a doppio turno, con tutto quel che ciò comporta) avranno riverberi sul formarsi delle maggioranze per la scelta del prossimo inquilino del Quirinale, ma c’è una complicazione ulteriore. Soprattutto nel caso fosse Mario Draghi ad essere chiamato a salire su quel Colle si imporrebbe la fine del suo governo e questo comporterebbe molto probabilmente un ricorso anticipato alle urne, perché ci sembra difficile immaginare in quel caso un proseguimento della solidarietà nazionale con altro premier. Se questa ipotesi non si realizzasse, di per sé la prosecuzione dell’attuale esecutivo sarebbe possibile (in quel caso le dimissioni del governo sono presentate per cortesia, ma subito respinte), ma potrebbe anche essere interesse di una parte delle forze politiche far venir meno la maggioranza del governo in carica per arrivare ad una nuova geografia elettorale essendo allora possibile lo scioglimento anticipato della legislatura.

Se non si tiene presente questo quadro, non si comprende il peso che avranno le sfide elettorali dell’autunno. Però va subito notato che non è sano ridurre un passaggio così delicato ad una subordinata di un gioco nazionale. Il sindaco, specie quello di una grande città, è un personaggio rilevante che concorre in maniera significativa al sistema di governo nazionale. Gli abitanti delle città, in particolare di quelle grandi, hanno bisogno di avere in quel ruolo personalità all’altezza della situazione, altrimenti pagheranno il prezzo di una marginalità e di un governo di basso profilo senza capacità di incidere sugli equilibri regionali e nazionali.

Tutto questo dovrebbe rendere cauti i partiti a gestire questa partita come uno scambio di figurine all’interno delle coalizioni, fatto tanto per non compromettere scenari nazionali. E’ comprensibile che tutti partano dalla ricerca di mettere insieme il maggior numero di voti possibili per portare il proprio candidato alla vittoria, ma sarebbe saggio ricordare che proprio nelle elezioni comunali il profilo del candidato fa premio sugli schieramenti di parte, soprattutto oggi che la mobilità negli elettorati è molto alta.

Il problema riguarda entrambe le coalizioni, ma non allo stesso modo. Il centrodestra almeno apparentemente sembrerebbe più coeso nel rapporto fra le sue componenti, ma nonostante questo non è ancora riuscito a determinare dappertutto, specie nei grandi centri, chi saranno i suoi candidati. Senza offendere nessuno, ci permettiamo di notare che anche là dove si dice che l’accordo sia stato raggiunto (per esempio a Napoli) non vediamo una personalità di statura nazionale. Non è cosa da poco per una coalizione che continua a ritenersi predestinata alla vittoria non appena potrà accedere alle elezioni nazionali.

Nel centrosinistra la situazione è piuttosto confusa, eppure è qui che la prova avrà maggiore valore. Se infatti questa coalizione, che al momento punta a mettere insieme PD, M5S, LeU e qualche altro partito non ancora veramente identificato, venisse sconfitta, vuoi come risultato complessivo del test, vuoi soprattutto nelle grandi città simbolo, il quadro politico si terremoterebbe con riflessi probabili sulla tenuta del governo e sulla gestione della partita per il Quirinale.

La situazione è resa molto complicata dal fatto che uno dei pilastri della coalizione, i Cinque Stelle (fossero pure a trazione Conte), è in uno stato di assoluta debolezza come personalità spendibili nelle competizioni fortemente personalizzate come sono quelle per i sindaci. Oggi all’idea che i partiti possano imporre scelte al proprio elettorato con la vecchia formula del “turatevi il naso e votate X” non crede più nessuno. Però il ragionamento è reversibile, perché anche il PD deve sapere che non può farsi dettare il suo candidato dal partner di coalizione, perché in una scelta maggioritaria e in genere di ballottaggio non si vince senza una figura che attragga consensi oltre il recinto dei militanti (ormai ridotti a numeri modesti).

Tanto Letta quanto Conte, ma anche tutte le altre componenti minori, ma non per questo meno determinanti, della coalizione, con questo dato dovranno fare i conti, ma non sarà facile: tutti vogliono ottenere vittorie d’immagine e per questo sono troppo spesso disposti a sacrificare comportamenti razionali per la gestione dell’impresa.

I prossimi mesi saranno determinanti per valutare quanto il sistema politico italiano sia sul punto di ritrovare un equilibrio o quanto continui nella sua corsa verso un’implosione. La prova delle candidature scelte per i sindaci saranno la classica cartina di tornasole per valutare quanto ci stiamo avviando davvero verso una nuova e più matura stagione politica.


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