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Il leader della Lega Matteo Salvini

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Diciamo così. Che se uno legge i giornali, guarda i Tg, ascolta i talk show politici e magari si fa anche un giro sui social, difficilmente sfugge alla fine alla tentazione di chiedersi: ma perché lo fa? Perché Matteo Salvini, capo del più forte (nei sondaggi) partito italiano, che ha accettato di stravolgere almeno in parte la sua leadership entrando nella maggioranza di larghe intese diventa continuamente preda di una masochistica coazione a ripetere per cui ogni due per tre insorge contro il presidente del Consiglio a cui ha votato la fiducia e da questi viene inesorabilmente messo a posto, cosicché lui stesso alla fine deve chinare la testa e sillabare: si fa come dice Draghi?

Sì, in effetti: bell’interrogativo. La prima risposta, quella che più volentieri compitano i suoi avversari dentro e fuori la supermaggioranza, è che Salvini è fatto così, non ce la fa a trattenersi, fa il ganassa e poi tira il freno a mano. Insomma è il Truce pennellato da Giuliano Ferrara. Spiegazione psicologico-comportamentale, non politica. Che se da un lato non rende giustizia alla figura del Capitano dall’altro poco o nulla aiuta a comprendere le ragioni più profonde delle scelte di leader leghista. Tentiamo un’altra strada. Come accennato, dicendo sí a SuperMario, Salvini ha fatto una scommessa, per alcuni un vero azzardo. Ha scommesso di poter non solo fare parte ma per certi versi perfino co-guidare il percorso politico che deve – almeno negli auspici – portare a battere la pandemia, definire prima e spartire dopo la torta dei fondi del Next Generation Ue, fare la parte del mazziere o robe così nella gestione al tempo stesso complessa e complicata, della successione a Sergio Mattarella.

Forse ha fatto bene (chi scrive è convinto di sì, anzi valuta che ogni altro posizionamento sarebbe stato esiziale); forse no: si vedrà. Ma una volta deciso di giocare la partita diventa decisivo il modo in cui lo si fa, il ruolo che si intende svolgere, la maglietta col numero sulle spalle da indossare. Se  stare in difesa giocando di sponda in attesa che passi la buriana oppure spingersi in attacco cercando di fare qualche goal. Salvini ovviamente ha scelto la seconda strada. Il primo obiettivo è non diventare stagnante morta gora, nudo sgabello dell’azione del premier. Al contrario, prioritario è dimostrare che la Lega di governo non ha perso i caratteri di quella di lotta, e dunque ben venga ogni volta che c’è da sbeccare l’effigie di sinistra. Il bersaglio preferito – visto che a far fuori Arcuri ci ha pensato direttamente palazzo Chigi – è il ministro della Salute, Roberto Speranza, detentore della linea rigorista sulla lotta al Covid. Draghi lo difende e gli dà manforte? Poco importa. Salvini non può certo sabotare l’esecutivo che ha contribuito a far nascere. Ma colpire Speranza da un lato vellica gli animal spirits del suo elettorato; dall’altro lo tiene in sintonia con la parte più raziocinante e che di più subisce i colpi del rosso fisso regionale. Il messaggio è: non mi dimentico di voi, anzi vi rappresento. E se poi devo arrendermi ai numeri dei contagi e purtroppo anche dei decessi, questo non significa che non ho il pensiero continuo alle vostre esigenze. Idem per il condono, SuperMario dixit.  È un imperativo di rappresentanza che avvertono anche importanti esponenti di sinistra. Tipo il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini: “Dobbiamo restare vicini a quelle categorie che sono chiuse da mesi – ha detto al Foglio – i ristori non bastano, serve una prospettiva” .E poi non ci sono solo i dirimpettai della strana coalizione. Ci sono quelli assai più pericolosi che stanno fuori. Tipo Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia. Con loro la competition è ancora più netta e i travasi di voti più dolorosi. Ecco dunque che Salvini deve fare la faccia feroce perché non può permettersi smottamenti a destra. La primazia di quel contenitore è sua, però non è data una volta per tutte. Bisogna difenderla dimostrando non solo di continuare a presidiare l’area di centrodestra ma anche e soprattutto che Giorgia ha sbagliato sul governo Draghi e il numero uno del Carroccio ha visto giusto. Insomma della serie: la vita, anche quella politica a volte è davvero complicata.

Torniamo all’inizio. Forse adesso “chi glielo fa fare a Salvini” è meno oscuro. E magari, allentandosi qualche passo per avere una visuale d’insieme più definita, si può anche aggiungere che c’è nel metodo nella testardaggine di Matteo 1. Quel metodo si chiama politica. Lui la fa a modo suo, con i suoi mezzi, le sue incursioni, le sue ritirate. Fa la sua politica, quella che ritiene più redditizia per la Lega. Lucrando sulla obbligata bonaccia che avvinghia gli altri tre partiti più grandi della coalizione. Coi Cinquestelle in ristrutturazione; il Pd fermo ai box per un Pit-stop non semplicissimo da attuare e Forza Italia preda del suo impasto di immobilismo e attesa dei manierismi di Berlusconi. Nella sua continua puntualizzazione che è tutto tranne che contrapposizione con Draghi, Salvini svolge un ruolo politico. In modo corsaro e, ritiene, conveniente. A parte qualche fendente tutto sommato ancora innocuo, gli altri partner fanno come le stelle che descriveva Archibald Joseph Cronin.


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