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Il ministro Roberto Speranza

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La situazione dell’opinione pubblica preoccupa giustamente il governo. Il paese è spaccato fra chi preferisce una gestione rigorosa delle misure anti pandemiche e chi non ce la fa più a reggerle, vuoi per motivazioni economiche, vuoi per questioni psicologiche. Il ripetersi di manifestazioni di piazza che chiedono riaperture e l’ondeggiare di alcune autorità regionali che si inventano fantasiose vie d’uscita della crisi non sono fenomeni da sottovalutare.

Draghi è intenzionato a prendere in mano la situazione prima che sfugga al controllo anche perché vede che la sua maggioranza non tiene su quel fronte. Un po’ il centro destra per non farsi scavalcare da FdI, un po’ il centrosinistra per non farsi confinare nella parte di quelli sordi ai dolori del popolo, tutti si prestano ad amplificare la portata del malcontento. Certo tutti dicono che si deve agire tenendo presente ciò che suggeriscono “i dati”, che ci vuole prudenza, ma si affrettano ad aggiungere che però è tempo di fare qualche passo avanti, il che significa portare acqua al mulino di coloro che sono convinti che si potrebbe fare diversamente.

Di conseguenza il premier sembra deciso a riorientare l’azione del governo, anche per non restare intrappolato nelle spire di quelli che predicano che in fondo fra questo esecutivo e quello di Conte non è che ci sia una gran differenza (e i sondaggi sembrano certificare che questa opinione sia maggioritaria). In realtà si è provato e si continua a provare a mettersi su binari nuovi, ma le circostanze non aiutano: la gestione dei vaccini sconta ritardi nelle forniture e la difficoltà a far funzionare le articolazioni regionali (contro cui alla fine nessun partito è disposto a schierarsi davvero). Ma c’è di più: da quel che stiamo vedendo in questi ultimi giorni ci sono strozzature anche a livello del Ministero della Sanità e dei suoi organismi.

Si sarà notato che sono circolate voci su una possibile sostituzione di Speranza: voci ufficialmente smentite da Palazzo Chigi, ma che forse hanno origine in messaggi inviati sotto traccia ad una cabina di regia in cui non tutto funziona come dovrebbe. Lo fa pensare il caso eclatante del vicepresidente dell’OMS Ranieri Guerra che è sospettato, su elementi piuttosto imbarazzanti, di avere fatto modificare rapporti della sua organizzazione perché non emergessero sue gestioni poco brillanti quando era al ministero della Sanità. La stampa registra scambi a questo proposito piuttosto discutibili col presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, che è tuttora figura chiave del Comitato Tecnico Scientifico e che è stato uno dei volti di prima linea in questa pandemia.

Non ci sfugge che c’è stata la babele delle lingue con la corsa di tutti i talk show ad accaparrarsi l’esperto di fiducia, che magari era poi uno che li girava più o meno tutti, ma è chiaro che la mancanza di un messaggio ragionevolmente unitario testimonia quanto meno che negli anni passati il ministero della Sanità tutto è stato tranne che un collettore/costruttore di un idem sentire della scienza medica italiana. Questo prescinde dal problema della regionalizzazione della sanità ed ha piuttosto a che fare col sistema corporativo del mondo accademico che governa la salute. Si è tanto discusso, ed a ragione, dell’enorme potere che i magistrati hanno esercitato sul ministero della giustizia, ma forse ci sarebbe da chiedersi se la stessa cosa non sia successa coi vertici delle facoltà di medicina nel rapporto col ministero della Sanità. Non si tratta di indulgere al complottismo e sappiamo benissimo che come la magistratura non è rappresentata dai gruppi che si impongono a livello di ministero della giustizia, così il mondo della medicina accademica non è riducibile a quelli che hanno prestato servizio, spesso per merito, altre volte per ragioni diverse, nella alta burocrazia del sistema sanitario collocata presso il ministero.

Probabilmente si deve a questa ragione se, come ci pare venga convincentemente sostenuto dal prof. Luigi Cavanna intervistato da Andrea Barbano sull’Huffington Post, alla fine si è prediletto di concentrare tutto sul sistema ospedaliero tradizionale, senza porsi il problema della medicina di territorio e di prossimità. Il risultato è un tracollo del sistema sotto il peso delle ospedalizzazioni per Covid, al prezzo di lasciare sguarniti e senza assistenza tutti coloro che soffrono di altre patologie anche gravi.

Ora le responsabilità per questo stato di cose risalgono nel tempo e non servono processi sommari dell’ultima ora. Tuttavia sembrerebbe da tenere in conto che questi nodi vanno sciolti, mentre non se ne parla nascondendo tutto sotto la cappa del rilevamento dei contagi e dei loro parametri interpretativi. Urgerebbe che in parallelo si avviasse quanto meno un piano per affrontare meglio un’epidemia che nessuno garantisce sparirà presto anche se si spera che avrà forme meno gravi. E al tempo stesso sarebbe necessario si trasmettesse alla gente il messaggio che c’è consapevolezza che non esiste solo il Covid, ma dobbiamo recuperare un’efficienza complessiva del sistema sanitario che deve funzionare a 360 gradi facendo in modo che quel virus sia solo una parte del problema.

Sono interventi di questo tipo, certo molto onerosi per un sistema politico che deve fare i conti con le varie baronie che ha lasciato crescere al suo interno, che daranno il senso di un cambio di passo che ne legittimerà tanti altri.


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