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Enrico Letta e Matteo Salvini

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Matteo Salvini gigioneggia come suo costume. Allora proviamo, per puro amore di paradosso, a prenderlo sul serio per stanarlo. Davvero, come sostiene, il Pd punta alla crisi pur di scaricarlo dalla maggioranza di larghe intese? Qualcuno potrebbe parlare di semplice boutade e non è detto che avrebbe torto. Però, però…

Proviamo ad analizzare? Il leader leghista come un architetto o un ingegnere usa un suo personale pantografo: dal piccolo, tipo la querelle sul coprifuoco, disegna il grande: i voti da raccogliere (vedi Madrid) con la strategia delle riaperture. Oppure il contrario: dal grande, cioè lo scontro con Letta, al medio-piccolo: la leadership interna e i muscoli gonfi nei riguardi di Giorgetti e co. A volte il gioco riesce, a volte meno. Al Capitano non interessa granché: ciò che gli preme è dimostrare di poter ballare il paso doble dentro e/o fuori dalla maggioranza seguendo il suo spartito.

Per Enrico Letta tutto questo è intollerabile anche perché compostezza e seriosità sono monete di scarso conio. In più i volteggi di Salvini lo fanno apparire come uno che deve sempre inseguire. In più, dal punto di vista mediatico, costretto com’è a ribadire ogni due per tre che quello di Draghi è il “suo” governo, sembra sempre a rimorchio.

LA CODA SI SFILACCIA

Ma ovviamente il leader del Nazareno non può aprire la crisi, sarebbe un atto di assoluto nonché incomprensibile autolesionismo. Quello che invece può fare – e fa con sempre maggiore puntigliosità – è rintuzzare ogni volta il protagonismo salviniano sicuro che prima o poi accada quel che accade quando una fune è tirata all’inverosimile: che ad un certo punto si sfilaccia e si spezza.

Nella mente di Letta alligna la sicurezza che arriverà un momento in cui Salvini dovrà tirarsi fuori e abbandonare SuperMario Draghi. Cosa che invece non farà Berlusconi motivando la sua scelta con il richiamo al senso delle istituzioni e al momento emergenziale del Paese. Così si potrà finalmente dare vita ad una maggioranza Ursula capace anche di eleggere il nuovo capo dello Stato e governare fino alla scadenza naturale della legislatura in un’alleanza dove il nucleo portante non sarebbe più, o meglio: non prioritariamente, l’intesa con i grillini bensì la riedizione bonsai del patto del Nazareno.

Tutto può essere. Perfino che Salvini, conscio delle intenzioni del capo Pd, oltre che per interessi politici resti in maggioranza solo per far saltare i piani di Letta. Che però è determinato a tenere il punto: vedi legge Zan.

In ogni caso, ci sono alcuni elementi che vanno considerati. Sul fatto che FI abbandoni lo schema di centrodestra e si allei con Pd e M5S, è legittimo nutrire più di un dubbio. Quando si apriranno le urne, dopo aver assaggiato il budino a Cinquestelle, con chi si schiererebbe il Cav? Per di più in un Parlamento dove i seggi saranno tagliati? L’abbraccio rischierebbe di rivelarsi mortale e Berlusconi si ritroverebbe a fare la ruota di scorta di intese predisposte per fruttare rendimenti altrui.

L’ASCESA AL COLLE

L’unica, vera ragione che potrebbe portarlo ad un simile salto della quaglia sarebbe il via libera al Quirinale. Ma qui non è fantapolitica bensì (Tajani ci perdoni) puro esoterismo.

Gongolare per l’addio di Salvini e la resistenza di Forza Italia potrebbe anche rivelarsi un boomerang. Nel senso che assegnare agli azzurri la golden share della maggioranza minaccerebbe di determinare fibrillazioni anche più forti di quelle che segnano l’attuale coalizione: che è senz’altro sbilenca ma poggia su un preciso perché e gode di fortissime sponsorizzazione sui colli più alti di Roma.

Torniamo con i piedi per terra. Forse al netto di simili e altre elucubrazioni c’è solo l’elemento già descritto: la malmostosità di Pd e Pentastellati nei riguardi dell’obbligo di ripararsi sotto lo stesso tetto governativo avendo a fianco Matteo 2. Però non c’è niente da fare, è una condizione necessitata. Forse servirebbe un piano d’azione che, sia sotto il profilo politico che mediatico, sia in grado di sovrapporsi ai giri di giostra di Salvini oscurandone la predominanza, vera o presunta che sia.

INTESA CON I FORZISTI

Più facile a dirsi che a farsi. Perché allo Stato mentre il leader del Carroccio può contare – sempre fino ad un certo punto ma non così trascurabilmente – sull’intesa con i forzisti, il Pd ha un alleato che ogni giorno aumenta il suo stato gassoso e potrebbe finire per liquefarsi o almeno ridursi ad un moncherino di dubbia utilità. Magari Letta pensa anche a questa variabile, ossia a recuperare i voti “di sinistra” travasati dal Pd al MoVimento. Anche questa è un’operazione acrobatica.

Però in un contesto politico estremamente fluido può anche starci. Si torna sempre, navigando a vista, agli stessi passaggi pieni di insidie: il semestre bianco, l’elezione del successore di Mattarella, l’evitamento di possibili elezioni anticipate. Certo, se l’attuale Presidente restasse al suo posto sarebbe tutto più facile. Chi può convincerlo? Nel frattempo il pantografo salviniano continua a fare su e giù, da piccolo a grande e viceversa.


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