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Il ministro della Giustizia Marta Cartabia

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È venuto il momento di stringere e questo è un passaggio complicato per un governo che deve appoggiarsi su una maggioranza molto ampia. Non è soltanto questione di tenere insieme visioni opposte: difficile, ma ci si può riuscire.

Il problema viene dal dover accontentare propagande sempre più di parte, con la complicazione che a quelle delle parti politiche tendono ad aggiungersi quelle delle parti sociali. Draghi si muove sempre col suo stile: dialogare il più possibile, ma decidere secondo un suo piano, che adegua ai desideri della sua maggioranza solo per quanto è compatibile con gli obiettivi che si è assegnato.

Tutto questo però determina una navigazione tutt’altro che semplice. Ci sono questioni abbastanza di dettaglio, sulle quali non è poi difficile trovare una mediazione ragionevole. Lo si sta vedendo sulla questione della semplificazione degli appalti. C’erano due norme inserite per rendere più semplice l’iter delle opere pubbliche.

Una era l’abolizione del vincolo sulla quota di lavori che potevano essere subappaltati e rispondeva alla logica di avere grandi committenti che poi per articolare lo svolgimento dei lavori potevano usare liberamente le offerte di prestazioni presenti sul mercato. L’altra era introdurre il meccanismo dell’assegnazione automatica dei lavori a chi presentava il massimo ribasso, che doveva servire ad evitare ricorsi da parte dei perdenti perché era un criterio “matematico” senza discrezionalità.

Le obiezioni mosse a queste norme sono ragionevoli. Il subappalto serviva troppo spesso per utilizzare fornitori di mano d’opera a basso prezzo grazie all’assenza di tutele per i lavoratori delle piccole ditte subappaltanti e consentiva anche l’aggiudicazione dell’appalto a soggetti che non avevano alcuna capacità autonoma di intervento, ma che lucravano sull’intermediazione con altri soggetti.

Il massimo ribasso si è sempre rivelato una norma pericolosa perché impediva di guardare a cosa c’era dentro e dietro i ribassi: spesso qualità scadenti e poi manovre per ottenere in seguito adeguamenti con la scusa di novità incorse durante l’esecuzione dei lavori. Il governo tiene conto di queste obiezioni ed aggiusta il tiro, sembra con generale soddisfazione, anche di quelli come Salvini che in un primo momento si erano sporti per una liberalizzazione selvaggia (che avvantaggia solo i furbi per non dire di peggio).

I guai arriveranno, anzi stanno già arrivando quando ci si deve confrontare con obiezioni che vengono da fantasie pseudo-ideologiche e non da argomentazioni fondate. È quel che sta avvenendo con il tema della riforma della giustizia. Qui sarà difficile scrivere un testo che salvi le intemerate senza senso dell’era Bonafede, non fosse altro per la notevole disparità di peso e competenza fra il grillino che sedette in Via Arenula e l’attuale ministro della giustizia e i suoi consulenti.

Si può agire, come Cartabia sta facendo, senza suonare la grancassa del riformatore (al contrario di quel che fece sguaiatamente il suo predecessore con le sue innovazioni), ma rimane che l’impianto degli interventi per adeguare il nostro sistema giudiziario si muove su tutt’altre linee e in tutt’altre direzioni rispetto a quelle precedenti.

Ciò pone un problema non piccolo ai Cinque Stelle che si vedono progressivamente smontare quasi tutte le loro bandierine, dalla giustizia all’ANPAL, alle nomine nelle partecipazioni statali che avevano pilotato ai tempi del Conte 1. Quel che rende la loro posizione molto precaria è la totale assenza di proposte targate M5S che possano trovare attenzione nel mutato clima politico.

I Cinque Stelle sono più che afoni in questa fase, sicché alla fine per farsi vedere devono tornare alle sceneggiate vecchio stile come quella dei giorni scorsi sull’abolizione dei vitalizi ai parlamentari condannati. Un tema del tutto demagogico che tocca un aspetto di nessun impatto sul lavoro per uscire dalla crisi che abbiamo davanti, buono solo a provare a risvegliare un po’ di populismo.

Non si può tacere l’assenza di Conte da questo palcoscenico. Essendo lui un giurista, docente universitario, dovrebbe essere il naturale interlocutore di Cartabia. In quanto leader ripetutamente investito del ruolo per quanto in assenza di designazioni formali (che peraltro in politica contano molto poco) ci si attenderebbero da lui iniziative per mostrare una qualche creatività riformatrice. Invece non c’è nulla di tutto questo.

Così il PD di Letta ha un bel problema, che evita accuratamente di affrontare. A cosa gli serve una alleanza di ferro con M5S? Chi butta lì che si tratta di una riserva da cui si possono pescare molti voti, sia a livello parlamentare che elettorale, non vede (o finge di non vedere) che si tratta di un ambito ingovernabile che non ha nessuna intenzione di fare la truppa di complemento al seguito del Nazareno.

D’altro lato però l’ostinata proclamazione da parte di Letta e soci della centralità del rapporto con Conte e coi Cinque Stelle impedisce che il PD prenda posizioni nette e in contrasto con le eredità del populismo grillino. Lo si vede in materia di riforma della giustizia (dove pure potrebbe sfruttare un buon precedente come le iniziative proposte a suo tempo da Orlando), ma anche in altre questioni come quelle sui vitalizi dove si è accodato alla gazzarra grillina, già dimentico di quanto gli stia costando l’errore che fece accodandosi alla loro gazzarra sul taglio dei parlamentari.

Almeno dovrebbero ricordarsi che quel caso dimostra che i Cinque Stelle agli impegni che prendono per avere i voti a sostegno delle loro trovate poi non prestano fede.


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