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Mario Draghi

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Di chi è Mario Draghi? La domanda sembra di quelle che i bambini fanno chiedendosi di chi è il papà o la mamma, lo zio o la nonna. Eppure in una specie di regressione infantile a cui inclina la politica attuale il quesito non appare così strano, visto che c’è una corsa continua ad attaccarsi alla giacca del premier: per Salvini, siamo ormai al “ci parlo io”; per Letta il PD è il partito chiave per Draghi (e Salvini sarebbe un abusivo); Berlusconi e di conseguenza FI fanno sapere di sostenerlo a spada tratta; Renzi ricorda che se c’è è per merito suo che ha bloccato le capriole per avere un Conte ter. Stanno sulle loro solo Conte e i Cinque Stelle e cercheremo di spiegare perché.

Alla radice di tutto c’è il duplice successo di Draghi: quello in sede internazionale, molto sottolineato in questo momento e non solo in Italia, e quello a casa nostra col successo della campagna vaccinale nonostante qualche imprevisto dell’ultima ora. È così divenuto abbastanza naturale saltare sul carro del vincitore e magari provare a far credere che lo si guida assieme a lui. Persino la leader dell’unica opposizione di peso, Giorgia Meloni, critica certamente, ma più il governo in generale che Draghi in specifico perché verso di lui ostenta considerazione.

È abbastanza comprensibile che chi salta sul carro del vincitore cerchi di buttar giù chiunque altro vi si sia installato o di impedire che altri salgano lungo la via. Ciò che dovrebbe indurre a qualche riflessione è che in realtà il modello Draghi si pone in alternativa al modo abituale con cui i partiti, tutti, hanno affrontato e affrontano i problemi: niente dichiarazioni a vanvera, niente trovate per attirare l’attenzione, ma lavoro sui dossier, magari anche con l’abilità di scaglionare nel tempo i temi più complicati (vedi quel che sta facendo Cartabia con la riforma della giustizia: si inceppa il problema del processo penale, intanto si accelera su quello civile).

Salvini è un modello insuperabile nella tattica dello sfruttamento del successo di Draghi, cercando di trovar modo anche di sventolare qualcuna delle sue bandierine: mescola infatti profusione di “siamo d’accordo su tutto” e palle buttate in tribuna (basta mascherine, vediamo di eliminare lo stato di emergenza, bisogna fare di più sugli sbarchi, ma la colpa è della Lamorgese). Glielo lasciano fare, ma bisogna ammettere che è tanto veloce nell’infilarsi in ogni pertugio che è difficile bloccarlo senza fare la figura degli invidiosi. La concorrenza poi non è gran che.

Forza Italia in questo caso si mette sulla scia di Salvini, perché le manca una figura pubblica capace di tenere la scena come fa il leader leghista e perché in questo momento il suo vero capo, cioè Berlusconi, è d’accordo a mandarlo avanti in vista del consolidamento di quel centrodestra di governo che gli sembra possa portargli nuovo protagonismo politico se non proprio nuova gloria.

Il PD è in difficoltà, sebbene sulla carta Letta dovrebbe essere il più naturale e il più attrezzato supporter del premier. Tuttavia il segretario del PD fatica a trovare la chiave giusta per inserirsi perché è troppo ondivago: da un lato dà l’impressione di non volere abbassarsi a fare semplicemente l’ascaro di Draghi e così anziché contribuire al rafforzamento di quelle politiche preferisce anche lui riservarsi di sventolare qualche bandierina; dal lato opposto deve tenere conto del complicarsi del suo rapporto con Conte e con M5S non volendo rinunciare all’idea che quello sia un asse insostituibile.

Il fatto è che per l’eterno leader in pectore (adesso sembra che la faccenda si scioglierà a metà luglio, ma è l’ennesimo rinvio) la nostalgia di Palazzo Chigi e la competizione (impossibile) con Draghi sono sentimenti da cui non si stacca, sostenuto peraltro da capi delle sue “curve” che cercano disperatamente di far passare la tesi che il suo governo andava benissimo e che Draghi si è solo impossessato usurpandoli dei risultati allora ottenuti. Tutti vedono che a parte le sue tifoserie nessuno crede a questa narrazione che fa a pugni con la realtà.

Non è peraltro tutto qui. Una forza in perenne fibrillazione, percorsa da linee politiche divergenti e per di più confuse, fa fatica ad identificarsi con il disegno molto razionale dell’attuale governo, che, per di più, ha smantellato senza colpo ferire non solo le poche realizzazioni pentastellate, ma i mantra che avevano proclamato a destra e a manca (basta richiamare la fine fatta dalla vicenda Autostrade-Benetton).

Dove ci poterà questo giochino dei partiti che vorrebbero acquisire per sé stessi i risultati ottenuti da Draghi? Non crediamo molto lontano. Intanto perché il premier viene ogni giorno blindato da una emergenza europea: ieri c’è stata la presa di posizione dell’Austria contro il debito comune UE troppo soggetto al rischio di un fallimento italiano (ma anche Schäuble ha espresso timori in questo senso). Il ritorno in scena dei “frugali” blinda Draghi, e impedisce che possa venire catturato nelle spire di questo o quel partito (ma specialmente di Salvini) perché allora l’Italia si troverebbe in posizione difficile. L’incremento costante di credibilità di una direzione politica che non si basi sulla tipologia tradizionale di una “repubblica dei partiti” porta probabilmente alla revisione della geografia politica e dello stesso modo di sentire la politica che si era affermato nell’ultimo quarto di secolo. Non sappiamo cosa significherà e come andrà a finire, ma il percorso ormai è iniziato.


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