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Il premier Mario Draghi in Parlamento

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Mentre si aspetta il 13 luglio per vedere che fine farà il DDL Zan nella discussione in Aula (il 14 luglio è all’anniversario della presa della Bastiglia. Che c’entri qualcosa?), la vita politica prosegue il suo corso con questioni che ci sembrano di una certa importanza.

In testa c’è la questione della riforma della giustizia dove si fa trapelare che la ministro Cartabia sarebbe arrivata ad un punto fermo anche sulla riforma del procedimento processuale penale. Nuova uscita dalle esuberanze dell’era Bonafede (nei giorni scorsi sanzionate anche dalla Corte Costituzionale), ma senza annunci e fanfare com’è nello stile di questo governo, che ha puntato a fare norme applicabili anziché contrapporre integralismo ad integralismo (da questo punto di vista si può capire anche la rinuncia all’abolizione della appellabilità dei processi di primo grado con assoluzione dell’imputato, norma che non piaceva né ai PM né agli avvocati). Naturalmente coi tempi che corrono qualche colpo di coda è sempre possibile, ma al momento non sembra aria.

Oltre tutto lo sblocco che ci si attende sulla riforma del processo penale, dopo quello, meno complicato di quella del processo civile, può aprire a che si avvii l’esame dello spinoso problema della riforma del CSM, dove ci sono ancora da attendersi scintille. Ci muoviamo sempre nel campo di una delle condizioni per ottenere i fondi del Recovery europeo con provvedimenti che andrebbero varati entro l’anno. Non siamo esattamente in condizioni ottimali per riuscirci se consideriamo l’estate, la campagna elettorale d’autunno e la sessione di bilancio, ma mettendoci la necessaria responsabilità da parte di tutti ci si può arrivare.

Un altro tema importante su cui è impegnato il governo è la definizione ulteriore della cabina di regia che dovrà occuparsi della gestione del PNRR. Una volta di più, a dimostrazione che adesso al governo si sta facendo politica e non esibizione di muscoli, si è aperto a chi era critico con una prima formulazione che sembrava troppo accentrata fra Palazzo Chigi e i ministeri. Nella cabina entreranno un rappresentante delle regioni ed uno dei comuni, mentre in un altro organismo, meno decisionale, ma comunque significativo, si farà spazio alle rappresentanze sindacali e sociali: non nei termini di ammucchiate infinite di tutte le sigle possibili ed immaginabili, come si è fatto in molte occasioni nel passato con pessimi risultati, ma in modo da dare un segnale di apertura verso la complessità del sistema sociale su cui incideranno le decisioni e gli investimenti del PNRR.

Il segnale è importante e va valutato molto positivamente, perché mostra il consolidarsi della consapevolezza che per la seconda Ricostruzione si deve trovare un robusto radicamento sociale, l’unica caratteristica che garantisca davvero il suo attecchimento. Del resto il momento è molto propizio. Si sarà notato che ci sono ottime stime per le nostre possibilità di sviluppo il prossimo anno, ma ci permettiamo anche di dire che quella caterva di licenziamenti che ci si aspettava con la fine del blocco il primo luglio per ora non c’è stata. Non è naturalmente garantito che non ce ne saranno anche in numero non trascurabile nel prossimo futuro, ma almeno si è avuta la sensazione che il nostro sistema produttivo non sia ancora in mano in maniera generalizzata ad imprenditori che anelano solo a sbarazzarsi della mano d’opera. In questo caso l’attendere da parte di tutti la riforma avviata degli ammortizzatori sociali sarà una bella prova di maturità per la tenuta del paese.

Insomma verrebbe da scrivere che la nave va e ci sembrerebbe una buona notizia. Non tutto però si muove in questa direzione dove ci mettono lo zampino i partiti. Il rinnovo del CdA della RAI che avrebbe dovuto partire anch’esso la prossima settimana, slitterà perché i Cinque Stelle sono nel marasma e non riescono a definire il loro candidato e si dice che il rinvio non dispiaccia neppure al centrodestra che avrebbe anch’esso qualche difficoltà nel concordare le sue scelte. Il governo avrebbe invece già chiaro chi indicare come presidente e come amministratore delegato, anche se per il momento tiene i nomi riservati. Peccato che il governo possa solo indicare dei candidati che per entrare in carica devono attendere di essere nominati da quel CdA che i partiti non riescono ad eleggere.

Non riusciamo a sottrarci al ricordo che sono giusto sessant’anni da quando, 5 gennaio 1961, il Consiglio dei Ministri nominò Ettore Bernabei direttore generale della RAI. Certo anche allora i partiti, ma specialmente il partito dominante, cioè La DC, occupavano la televisione pubblica, allora unica emittente ammessa sul territorio. La differenza è che allora la occupavano per realizzare un progetto politico-culturale a favore del paese, mentre ora sembrano occuparla più che altro per metterci dei loro segnaposti, mentre il resto interessa poco.

Eppure con la prospettiva di dover affrontare un periodo complicato, perché ci attendono gli anni delle trasformazioni legate a quanto metterà in moto il PNRR e della ridefinizione della nostra geografia politica visto quel che succede fra i partiti, sarebbe il caso di ragionare un poco su come dotare di un buon timone un ente come la RAI, che non ha più su di sé tutto il peso dell’informazione e della formazione dell’opinione pubblica come quando operava in regime di monopolio, ma rimane pure sempre una componente di rilievo di quel meccanismo.


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