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Il segretario del Pd Enrico Letta con sullo sfondo Mario Draghi

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Sarebbe sbagliato e esempio di faziosità liquidare in maniera sommaria la richiesta di Enrico Letta di un patto di maggioranza sul tema dei no vax.

Le ragioni di un simile affondo da parte segretario del Pd si intuiscono con facilità. La pandemia è tutt’altro che sconfitta, le varianti fanno paura e l’adesione all’invito del governo e il senso di responsabilità che dovrebbe portare, anche con un bagaglio di dubbi, alla vaccinazione di massa, emergere solo a tratti. 

Più che i no vax, che sono e restano una sparuta minoranza gonfiata dai modi spregiudicati da chi soffia sul fuoco della delegittimazione costi quel che costi, preoccupa il largo settore dei dubbiosi che, come ha cercato di spiegare Matteo Salvini (peraltro non esente da atteggiamenti poco in linea con chi aspira a guidare l’Italia), non può essere sbrigativamente liquidato come un serbatoio di noncuranza e superficialità.

Ciò che più importa è che al dunque i prossimi mesi – e basta pensare alla riapertura delle scuole – saranno complicati: creare una vasta e solida coscienza della importanza della vaccinazione è la precondizione per affrontare con efficacia i rigurgiti del Covid e mettere in sicurezza sanitaria il Paese.

Ovvio che questa sia la mission fondamentale del governo e non è un caso se il presidente Draghi ne abbia fatto il principale terreno di intervento, con successi innegabili. Tuttavia l’impegno senza se e senza ma delle principali forze politiche in questa direzione è decisivo, e va elogiata anche Giorgia Meloni che si è vaccinata pur esprimendo riserve e perplessità.

Ma c’è anche un’altra ragione, più di fondo e forse ancor più significativa, che rende importante il gesto del leader del Nazareno. E cioè la sottolineatura, implicita ma palese, che il dialogo, il confronto, la discussione priva di sotterfugi ideologici sia la via maestra, il cemento indispensabile per unire la larga ed eterogenea maggioranza in una fase così delicata.

Letta che chiede a Salvini di confrontarsi e stringere accordi su fronti impegnativi e ineludibili rappresenta un buon viatico per implementare un atteggiamento che può rivelarsi equilibrato ed utilissimo in altri passaggi: vale per tutti l’elezione del nuovo capo dello Stato.

Tuttavia il vero punto politico sta proprio qui. Perché per essere credibile e produrre effetti davvero positivi il richiamo al confronto e al dialogo, fino ad arrivare a stipulare patti laddove è possibile senza rinnegare ciascun partito la propria identità e, diciamolo, anche i propri interessi, non può che avere validità complessiva e generalizzata. Deve potersi esprimere e dispiegare le sue possibili valenze positive su tutti i fronti, non solo su quelli che sono validi per una parte.

Altrimenti finisce per essere solo un gioco viziato di strumentalità. Alle strette. Se il richiamo deve giustamente valere per le vaccinazioni, non può però essere messo nel dimenticatoio – per citare due esempi di attualità- per la legge Zan e per la riforma della giustizia. È evidente che il tema delle inoculazioni è più favorevole alla strategia del Pd e mette più in difficoltà la parte maggioritaria del centrodestra. Il che non deve far velo o diventare ostacolo per reclamare la necessità di superare incertezze in nome di un interesse più grande. Ma la stessa cosa deve valere per la giustizia, dove la necessità di una riforma che renda i processi più veloci e riequilibri il rapporto tra politica e magistratura che come un macigno da cinque lustri e più lustri, sta lì senza che niente e nessuno appaia in grado di spostare.

Senza contare che si tratta di una precisa richiesta che arriva dalla Commissione Ue e che ad essa (ma non solo, ovviamente) è legata l’erogazione delle ingenti risorse messe a disposizione dall’Europa. Anche in questo caso le manovre e i giochi di leadership ego riferita che sostengono il confronto tra partiti dovrebbero essere accantonati dalle forze più responsabili per far posto ad un dialogo privo di infingimenti e volto a migliorare una dei settori più importanti della vita e della pratica di uno Stato. È evidente che così non è e anzi la giustizia è maneggiata dai fautori del tanto peggio tanto meglio come una mina senza spoletta, una minaccia alla Sansone.

Anche sulla legge Zan, che non è di pertinenza del governo ma attiene al tema dei valori che pure sono il mastice di un pezzo della coesione sociale, usare gli scarponi chiodati dell’ideologia e rifiutare il confronto con la Lega in ragione dei posizionamenti internazionali di quel partito rischia di essere un modo di rinnegare, su un terreno politicamente più congeniale alla sinistra, quel che su altri versanti viene invece reclamato come indispensabile.

Per affrontare e aggirare con speranze di successo i tanti scogli che costeggiano la navigazione del vascello-Italia, è opportuno che tutti indossino l’armatura del confronto senza pregiudiziali e senza opportunismi di sorta. Solo così è possibile inviare all’opzione pubblica un messaggio di serietà e responsabilità. Se invece prevale la tattica di parte volta a sgambettare l’avversario che in questo momento paradossalmente è anche l’alleato, si rischia di ingenerare nei cittadini un sentimento di confusione e/o di delusione che è l’autostrada per incrementare la disaffezione e la sfiducia nella politica e nelle istituzioni. Chi vuole inalberare queste bandiere è libero di farlo: la democrazia funziona così. Sapendo che contribuire a creare macerie è il modo più celere per portare il Paese in un vicolo cieco.


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