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Mario Draghi con i ministri Cartabia e Speranza

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“Dopo aver visto l’adorato viso di Anna Frank usato allo stadio non mi stupisco più – chi parla è Liliana Segre – Non dico che sono insensibile, ma mi è venuta una sorta di scorza”. Per quanto mi riguarda, non riesco a rassegnarmi quando vedo – a partire dalla mia città – le piazze centrali invase da ‘’terrapiattisti’’ che invocano a sproposito i diritti costituzionali e esibiscono una stella gialla paragonando il ‘’green pass’’ alla Shoah. Magari erano gli stessi che, nei tempi eroici del backdown, come i muezzin de noantri, salivano all’ultimo piano tutte le sere alle 18 per scambiarsi a voce l’augurio di regime del “tutto andrà bene’’.

Durante le varie fasi della crisi ci siamo sottoposti di buon grado a tutte le restrizioni imposte, anche se prive di senso; per mesi ci hanno persuaso che avremmo vinto la guerra al virus misterioso con l’acqua e il sapone. Poi sono diventati disponibili i vaccini e, dopo molte, difficoltà è partita con un discreto successo la campagna per la somministrazione di massa.

Ora siamo ad un passo da un ripristino di una normalità di vita e di lavoro: il superamento del divieto dei licenziamenti va in questa direzione ed è disonesto collegare a questa decisione le crisi pregresse di alcune aziende. Oggi è assolutamente prioritario non soffocare nella culla una ripresa che presenta trend inaspettati. Ed è veramente singolare che i sindacati accusino la Confindustria di volere il green pass per “far girare’’ il più possibile le macchine negli opifici manifatturieri.

Draghi è riuscito ad aprire la strada dell’utilizzo del green pass, sia pure in settori ancora limitati per dare solidità ad una strategia alternativa rispetto a quella delle chiusure e dei coprifuochi. A pensarci bene le restrizioni – specie quelle nella scuola e nella PA – erano dettate dall’esigenza di ridurre i focolai dei contagi derivanti dai contatti e dagli assembramenti. E si è rivelata una procedura stupida perché per sbarrare l’accesso in un ristorante ad un possibile “untore’’, si è proceduto a chiuderlo anche per le persone sane. Il green pass invece determina un comportamento sensato: il ristorante resta aperto, ma l’ingresso è precluso a chi non fornisce le garanzie richieste.

Ma, diciamoci la verità, quelli che frequentano i locali pubblici, si recano in palestra, al cinema e a teatro sono una esigua minoranza rispetto a quanto fanno – tutti i giorni – milioni di nostri concittadini: recarsi al lavoro, stare insieme ad altri nello svolgimento delle mansioni affidate, frequentare a turni i luoghi in comune (mense, spogliatoi, ecc.), rincasare sui mezzi pubblici.

Per non parlare di quei ragazzi e giovani – adesso accusati di diffondere il contagio – i quali rischiano di trovarsi in classe con compagni ed insegnanti renitenti alla vaccinazione. Il green pass ha un senso solo se il governo è in grado di “sparare nel mucchio’’. L’app non comporta alcun obbligo di vaccinarsi, ma è un passepartout necessario per riconquistare la normalità del vivere civile. E viene ammessa una alternativa: dimostrare, tampone alla mano, di non essere portatori di contagio, anche se liberi di non vaccinarsi. I nostri diritti (quanti delitti in loro nome!) non arrivano al punto di mettere a rischio la sicurezza e la salute del prossimo.

I Protocolli sottoscritti dalle parti sociali e dal governo, nell’aprile 2020, hanno avuto il merito di consentire la riapertura dei settori strategici e di recuperare, nel secondo semestre, buona parte del Pil demolito nel primo. Ma le misure previste per l’accesso al lavoro – le stesse che hanno consentito la riapertura e lo svolgimento delle mansioni in condizioni di relativa sicurezza – sono assolutamente coerenti con l’adozione del green pass. La differenza la fa la scoperta dei vaccini che al tempo dei Protocolli non erano disponibili. Basta leggere il testo con un minimo di onestà per riconoscere che la Confindustria ha ragione; e che il colpo di calore lo hanno preso Maurizio Landini e compagni.

Ci sono settori dove bisogna andare oltre il green pass e porsi il problema della obbligatorietà della vaccinazione. Perché ci sono aziende in cui i renitenti possono lavorare da remoto. Certo tale opzione è possibile anche per periodi non brevi (peraltro si dovrebbe riflettere se in questi casi il datore è tenuto a pagare il contributo INAIL per quei dipendenti), ma nel medio periodo si porrà il problema della continuità del rapporto di lavoro. Nella scuola, invece, non è più ripetibile il surrogato della DaD. Come ebbe a dire Mario Draghi in Senato «Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza».

I docenti e il personale scolastico devono vaccinarsi, a meno che non vi siano oggettivi motivi di salute. Le staffilate delle valutazioni Invalsi sanguinano ancora. Soprattutto nel Sud (dove non sono stati neppure praticati sostanziali esperimenti di DaD) i ragazzi rischiano di uscire semianalfabeti dalla scuola, che per loro è stata per più di un anno una porta chiusa. Il green pass può essere la conferma della avvenuta somministrazione.

Sul green pass e la riforma della giustizia, Mario Draghi è arrivato al fronte. In prima linea. I nemici non stanno dall’altra parte della collina, ma all’interno delle trincee della maggioranza, organizzati in una “Quinta colonna’’ che raccoglie malcontenti, vaghe proteste, ricerca di un consenso purchessia, stupidità, senso di impotenza, fantasie ‘’terrapiattiste’’: tutti umori maleodoranti e scorie nocive accumulati negli ultimi vent’anni come le immondizie a Roma, una città ormai in procinto di essere invasa da mandrie di cinghiali affamati; umori e scorie che hanno trovato sbocco negli esiti delle elezioni politiche del 2018.

La riforma di Marta Cartabia probabilmente non merita tutti gli apprezzamenti che le sono rivolti, perché ha dovuto (e dovrà?) pagare il prezzo delle mediazioni; ma esprime la forza morale e culturale di un gruppo dirigente – dotato dello spirito dei Lumi – che è consapevole di avere ragione e di assumersi la responsabilità di decidere anche nell’interesse (prevalente?) di chi ha torto. Contro la riforma si sono levati pronunciamenti golpisti da parte di magistrati che ricoprono funzioni importanti e dello stesso CSM, un organismo che difende il proprio ruolo con una logica sovversiva nei confronti del Parlamento.

Nel campo della  giustizia  – ha sottolineato Draghi – le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea: aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione.

Ma il dibattito si è concentrato sulla riforma della giustizia penale: giustamente, perché negli ultimi anni, da noi, il diritto penale è diventato il contesto in cui si muovono tutte le azioni individuali e collettive. Con derive che non mettono in discussione soltanto i diritti di libertà dei cittadini, ma determinano pesanti interferenze sul terreno dell’economia.


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