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Il presidente Draghi con il ministro Cartabia

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Stiamo assistendo a un fenomeno che avevamo incontrato soltanto in Alice nel paese delle meraviglie. Quello per cui, ricorrendo a una speciale pozione, le cose rimpiccioliscono oppure spariscono dalla scena.

Che cosa sta accadendo? È molto semplice: il governo Draghi va avanti come un treno seguendo il decisionismo ingentilito dalle buone maniere del suo leader. I partiti apprendono senza poterci far nulla che le loro campagne più o meno ideologiche non hanno e non avranno altro spazio se non quello di qualche titolo di giornale, di qualche zuffa televisiva, di qualche aspra battaglia social combattuta, per dirla con Machiavelli, usando speroni di legno, cavalli a dondolo e quadrati di gesso al posto degli accampamenti.

In altre parole, lo spazio reale della manovra politica dei partiti si riduce come quando il mare avanza e si mangia le spiagge. L’esempio più evidente e quello della Lega e di Fratelli d’Italia, due partiti costretti a convivere pur essendo concorrenti e tuttavia convergenti ma anche nemici e però certamente futuri alleati, il che poi non è affatto detto, i quali seguitano a fare affermazioni sempre meno bellicose per contrastare le vaccinazioni, le green card, le necessarie limitazioni, le opportune regolamentazioni che si richiedono in una fase di emergenza acuta qual è un’epidemia.

Ma che più di altro richiedono una forte direzione e norme che a causa della volubilità del virus non possono che cambiare e trasformarsi. L’unica certezza è, o dovrebbe essere, che il governo si approvvigioni dei migliori analisti e tecnici per avere valutazioni attendibili su cui prendere le decisioni più vicine alla perfezione.

Ma la perfezione non è di questo mondo e di conseguenza resta per fortuna sempre un margine realistico di critica sulle cose fatte e da fare, come sta accadendo con i decreti della ministra Lamorgese che, a detta dei ristoratori contengono disposizioni lacunose, più utili come copertura burocratica che per l’uso pratico. Tuttavia, il governo va avanti incamerando successi, aiutato anche dalla fortuna come è accaduto con i trionfi agli Europei e poi alle Olimpiadi che contribuiscono a dare un tono generale di ottimismo a un Paese che aveva le gomme a terra e il morale sottoterra.

E lo stesso Draghi in più di un’occasione ha respinto senza mezzi termini le richieste perentorie sia di Enrico Letta che di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, nonché dei 5 Stelle, in un modo garbato ma chiuso ad ogni compromesso che andasse oltre la semplice forma. Lo abbiamo visto con la giustizia e la riforma Cartabia, che ha rappresentato una sintesi al ribasso rispetto a quello che i più garantisti si aspettavano, ma che comunque ha dato un segnale molto brusco cestinando una precedente riforma imposta dal ministro Bonafede, perché era una riforma tale da permettere ai magistrati di inseguire con nuovi processi cittadini già dichiarati innocenti da una sentenza.

E benché non si tratti di un percorso senza sobbalzi e qualche fosso, la direzione e il verso del governo non cambiano, il semestre bianco garantisce la stabilità pur nella consapevolezza delle teatralità che immancabilmente accompagneranno questo periodo, visto che è impossibile il ricorso alle elezioni e quindi vivremo per un po’ in un Far West utile forse per acchiappare consensi in vista delle elezioni del 2023.

Quanto al resto, il governo si è presentato con uomini capaci e che hanno fatto la loro personale buona figura e l’hanno fatta fare al governo stesso sia all’interno che all’estero. Il primo è certamente il generale degli alpini Figliuolo il quale è un programmatore abilissimo ed ha saputo programmare un piano vaccinale di dimensioni pari a quelle che i grandi piani militari richiedono per operazioni militari complesse e che come struttura sono identici ai piani che occorrono quando anziché affrontare una guerra si deve affrontare un virus, un’emergenza, un maremoto, qualsiasi imprevisto che venga a turbare la vita collettiva e che richieda interventi decisi e precisi accompagnati da un corredo di regole mobili, cioè che abbiano il coraggio anzi che mostrino il coraggio di una gestione capace di correggere i propri errori, fare tentativi e andare avanti in un modo sia empirico che deciso. Questa è l’arte dei protocolli.

Conosciamo tutti bene un paese, gli Stati Uniti d’America, dove l’arte del protocollo e riconosciuta come il fattore di crescita più propulsivo. Chiunque sappia programmare è in grado di fare cose tra loro diversissime: una festa familiare, uno sbarco in Normandia, aggiornamenti sui corsi di laurea, una catena di luna Park, una compagnia aerea competitiva. Si tratta di sapere che le cose vanno fatte così e così ma anche che man mano che le condizioni cambiano devono cambiare anche le regole.

Questa duttilità dettata dalle necessità fornirà sempre ai partiti lo spazio per accanirsi sulle correzioni, sulle mancanze, sulle ripetizioni e gli errori. E questo è un bene perché se i partiti vogliono essere utile alla società, così come noi giornalisti e il Parlamento stesso che dei partiti è l’espressione, benché sia formato da rappresentanti del popolo, il campo d’azione può essere soltanto quello di perfezionare un programma generale condiviso per un obiettivo comune attraverso i migliori strumenti, il miglior loro uso.  Alcuni di questi strumenti richiedono costi alti e spesso altissimi. E sarà il governo a prendere le decisioni degli investimenti economici per far fronte a  situazioni fluide drammatiche come quelle dei licenziamenti, delle morti bianche sul lavoro che stanno straziando l’anima del paese non meno di quelle delle morti negli ospedali, alla sanità in generale e a quella di Regioni sventurate come la Calabria, in cui i cittadini sono costretti a vivere la precarietà sanitaria delle cure, dei ricoveri, delle incolmabili distanze su strade dissestate e di per sé pericolosissime come la tristemente famosa 106 Jonica.

Percorrendo in macchina queste strade calabresi mi è capitata anche la sorte di viaggiare sul viadotto di Lauria che sta in piedi per scommessa grazie all’equilibrio tra l’emissione di una falda acquifera che versa 300 litri di acqua al secondo, bilanciando la spinta di una frana che altrimenti farebbe crollare il viadotto con le automobili che lo stanno percorrendo. Esiste già un progetto di finanziamento e quant’altro per fare un nuovo viadotto, ma il vecchio sta sempre lì. Occorre che il governo faccia fronte a queste situazioni incancrenite come quelle della Liguria, dove soltanto il crollo del ponte Morandi è servito per gettare nel panico tutti coloro che sanno di adire la responsabilità di ponti, viadotti, gallerie che potrebbero precipitare, crollare da un momento all’altro, provocando ecatombi. Forse ci vorrebbe anche lì l’azione del generale Figliuolo o di un altro esperto in programmazioni e visioni unitarie.

Noi giornalisti non siamo dei governanti, per fortuna, e non sempre riusciamo a vedere con un occhio giusto se un governo agisce bene o male ma in genere ce la caviamo abbastanza. E vediamo quanto disastro c’è che incancrenisce da molto tempo prima dell’arrivo del Covid. Eravamo partiti dallo spazio che rimpicciolisce per l’azione politica e vogliamo concludere questa nota nello stesso modo: ricordando che i partiti hanno perso sempre di più e ancora più perderanno nei prossimi mesi e anni ogni mordente sulla politica politicante, i travestimenti ideologici fatti di chiacchiere perentorie e saranno invece chiamati a misurarsi con i territori, i fatti, le spese, tutto ciò che è arte del governo. E quindi possibile che il governo Draghi posso avere alla fine anche questo merito, di avere avviato un laboratorio di una nuova politica fatta di spazi diversi, destinata ad essere gestita da figure diverse da molte di quelle attuali.

Non è il caso di andare oltre per non usurpare il mestiere dei profeti peraltro non invidiabile. E la chiudiamo qui con questa banale conclusione: l’emergenza sta rimettendo in riga il paese che si rende conto di avere bisogno di una classe dirigente del tutto nuova. In parte ce l’ha e in parte se la sta fabbricando. Chi arriva prima a riempire gli spazi vuoti vince. Gli altri resteranno fuori e sarà bene così.


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