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La sede della Regione Lombardia

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Soldi, Lega e processi. La nuova versione della creatura politica nata da un’intuizione di Roberto Bossi è sempre più invischiata in vicende giudiziarie legate al denaro. Un fiume di denaro. Perché si tratta di milioni di euro passati dalle casse leghiste o da chi i soldi del partito li ha gestiti. Sono tanti infatti gli amministratori salviniani finiti nei pasticci in Lombardia.

Un incrocio dopo l’altro tra politica e affari stigmatizzato in particolare dalle ultime parole scritte del giudice Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza con cui il 3 giugno i contabili Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni sono stati condannati rispettivamente a 5 e 4 anni e 4 mesi di reclusione.

La vicenda è nota, anche perché i due sono stati nientemeno che i responsabili della cassa leghista in Parlamento: si tratta del capannone destinato a diventare la nuova sede della Lombardia Film Commission, ma finito al centro di un’inchiesta perché in meno di un anno è stato comprato da un gruppo di professionisti tra cui Di Rubba e Manzoni e rivenduto alla Regione con una plusvalenza di 800mila euro.

Palazzo Lombardia, all’epoca dell’Amministrazione Maroni, aveva infatti stanziato un milione di euro per l’acquisto di una nuova sede dell’ente regionale, denari poi in buona parte finiti nelle tasche del gruppo di contabili con a capo Di Rubba e Manzoni che lo avevano comprato 11 mesi prima per un prezzo notevolmente inferiore.

Il caso ha scosso profondamente i vertici leghisti perché i due commercialisti poi condannati per l’affaire Film Commission hanno un vissuto come responsabili della borsa leghista in Parlamento. E in uno dei loro studi era stato registrato il nuovo logo della Lega targata Salvini. Inoltre un pezzo importantissimo della Lega si era esposto proprio su questo argomento: Stefano Bruno Galli, attuale assessore leghista lombardo alla Cultura, aveva garantito pubblicamente sull’affidabilità della perizia che ha portato alla compravendita del capannone tra le società controllate dai commercialisti e Regione.

E Bruno Galli non è un nome qualsiasi per la Lega, né per la magistratura. L’assessore era indagato anche a Genova per un presunto giro di soldi sui conti leghisti relativo ai celeberrimi 49 milioni che la Lega è stata condannata a rifondere allo Stato. Si trattava dei rimborsi che secondo i giudici i leghisti avrebbero ricevuto tra il 2008 e il 2010 e usato indebitamente.

Nell’ambito di quelle indagini Bruno Galli era finito nel mirino dei magistrati per 450mila euro che ufficialmente sarebbe stati utilizzati per acquistare materiale a sostegno della campagna elettorale della Lega ma, in realtà, non sarebbero stati spesi e sarebbero rientrati in conti correnti riconducibili al partito. Ma i pm genovesi prima di mollare la presa sull’assessore lombardo, avrebbero inviato le carte a Milano per permettere ai colleghi meneghini di proseguire le investigazioni.

Ma di pezzi pesanti della Lega lombarda nei guai con i magistrati ce ne sono parecchi: lo stesso governatore Attilio Fontana è in attesa di un probabile rinvio a giudizio nel pieno della campagna elettorale per Milano a causa del caso camici. La Dama spa, di proprietà del cognato, è al centro di un’inchiesta per una partita di camici e dispositivi di protezione individuale del valore di mezzo milione di euro che stava per essere venduta ad Aria spa, la centrale acquisti regionale.

Quando il caso è esploso però la vendita è stata trasformata in donazione e lo stesso Fontana si è inguaiato ancora di più: per rifondere il parente della perdita economica ha provato a inviare un bonifico da 250mila euro al cognato da un conto personale. Peccato che il conto fosse in Svizzera e visto l’importo i sistemi di sorveglianza della Banca d’Italia hanno dato l’allarme che poi ha spinto i magistrati a indagare anche sul conto elvetico dei Fontana.

Un vero delirio di soldi, Lega e processi che non sembra destinato ad avere fine. Basti pensare mentre esplodevano i casi camici e Film Commission sono arrivati al pettine vecchi procedimenti come il processo “Rimborsopoli”. La magistratura aveva messo nel mirino le spese dei consiglieri regionali lombardi tra il 2008 e il 2012. Circa tre milioni di euro in totale divisi tra una quarantina di consiglieri finiti a processo che si è concluso con un grappolo di condanne a metà luglio 2021.

E anche in questo caso sono finiti nelle maglie della giustizia leghisti di peso come il capogruppo delle Lega in Senato Massimiliano Romeo a cui sono stati comminati 1 anno e 8 mesi, Renzo Bossi, figlio del fondatore della Lega, (2 anni e 6 mesi) e Stefano Galli, quasi omonimo dell’assessore, 4 anni e 2 mesi: secondo l’accusa avrebbe infatti procurato una consulenza al genero, da qui l’accusa di peculato; sul fronte dei rimborsi il banchetto di matrimonio per la figlia.

E sempre per restare in Lombardia, il senatore leghista Armando Siri ha ricevuto a giugno l’avviso di conclusioni indagini per due mutui considerati sospetti dai magistrati. In totale si tratta di 1,2 milioni di euro concessi dalla Banca Commerciale Agricola di San Marino. Il parlamentare leghista è sotto la lente perché con il primo prestito aveva acquistato una palazzina per la figlia a Bresso, comune alle porte di Milano. Con l’altro mutuo ritenuto ‘anomalo’ di 600mila euro sarebbe stato concesso a un esponente del Partito Italia Nuova, creatura politica di Siri.

Infine ci sono i guai con i magistrati contabili: durante il 2020 sono stati spese centinaia di milioni a causa del caos generato dalla pandemia. E le indagini della Corte dei Conti sono in corso, a partire dall’inefficienza di Aria spa per arrivare ai casi come quello delle mascherine “pannolino”: su 18 milioni pezzi ordinati, 9 sarebbero rimasti nei depositi regionali, e se la magistratura ordinaria non ha ravvisato reati, non è detto che facciano altrettanto i loro colleghi contabili a cui è stato passato il fascicolo per valutare l’eventuale danno erariale.

Ma si tratta solo di un esempio del profluvio di cause in cui potrebbe imbattersi tutto l’apparato amministrativo leghista nel corso dei prossimi mesi: la Corte dei Conti lombarda aveva annunciato di essere al lavoro su alcune decine di fascicoli già lo scorso autunno. Nel 2021 dunque potrebbero riemergere molti altri casi come quello delle mascherine “pannolino” perché nella fretta di reperire materiali di ogni genere per fronteggiare il Covid molte firme sono state apposte senza andare troppo per il sottile.


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