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Silvio Berlusconi

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Ormai il gioco della poltrona presidenziale a destra è chiaro: Salvini e la Meloni non vogliono fare una battaglia per mandare il leader di Forza Italia ad occupare la poltrona di Mattarella perché ci vogliono a tutti i costi mandare Mario Draghi. E pensano così di mantenersi libera quella di capo del governo per Palazzo Chigi, dando per scontato che in caso di elezioni anche anticipate la vittoria sarebbe della destra e, dunque, uno di loro due dovrebbe guidare il governo e l’altro fare il suo vice, o qualcosa del genere.

È un vero paradosso: la sinistra non può dirlo apertamente ma la soluzione di Berlusconi al Quirinale sarebbe ideale perché Berlusconi già malato, operato e stanco non può essere eterno e copritore tutto il settennato e Draghi è meglio lasciarlo dove sta per finire il suo lavoro. E poi perché i Cinque Stelle vedono le elezioni anticipate (ma anche quelle normali) come il fumo negli occhi: metà di loro e forze più sarà spazzata via e la riduzione del numero dei parlamentari farà il resto. Dunque, se dovesse reggere l’alleanza fra PD e Cinque Stelle, per tutta quell’area la soluzione ideale è che Draghi resti e alla poltrona del Colle vada qualcuno che non dia troppo fastidio. E chi meglio di Silvio? Con un colpo solo Letta potrebbe intestarsi il titolo di grande rappacificatore facendo anche molto contento suo zio Gianni che certo non sarà immobile dietro le quinte.

E poi tutti sanno che è vero ciò che Giorgetti ha visto per primo: se si manda un uomo come Draghi al Quirinale non c’è nemmeno bisogno di fare una riforma costituzionale per fare dell’Italia una Repubblica semipresidenziale alla francese. La Costituzione di fatto lo prevede. Il Presidente della Repubblica italiana ha un potere che da solo basta a capovolgere il senso di una Repubblica parlamentare: lui (o lei) e soltanto lui (o lei) può nominare o licenziare ministri. Ed è vero. Mentre nei lontani tempi antichi del dopoguerra presidenti come Segni o Saragat o Gronchi (che però insediò Tambroni con i voti determinanti del MSI neofascista che provocarono gli scontri passati alla storia come “Fatti di Luglio” del 1960) accettavano in genere la lista dei ministri che il Presidente del Consiglio incaricato gli portava. Era rarissimo che il Quirinale si incaponisse contro o a favore di un ministro, anche se non sono mancati i casi in cui ciò è avvenuto.

Ora, se provate a immaginare Mario Draghi che riceve _ supponiamo – l’onorevole Giorgia Meloni che gli porta la sua lista di ministri, non fatichiamo a immaginare quale genere di trattativa o meglio di “tutorial” ne discenderebbe. Il Presidente del Quirinale avrebbe – a norma di Costituzione – il diritto di veto su ogni atto di governo, perché potrebbe licenziare un ministro senza nemmeno dover giustificare. Sicuramente non accadrebbe in una maniera tanto bruta ma certamente il governo sarebbe in ogni caso il “governo del Presidente”. E allora? A che servirebbe avere Draghi al Quirinale illudendosi di governare l’Italia? L’Europa, che si è scoperta non essere più tanto arcigna e nemica ma anzi benevola e pronta a riscattare alcuni dei mali originari della Repubblica italiana, ha stanziato un discreto fondo in miliardi di euro, concessi a condizioni severissime “ora o mai più” che hanno come garante unico l’ex governatore della BCE di cui la Commissione si fida.

Qualcuno potrà dire: ma allora noi non saremmo più liberi di eleggere chi vogliamo? Esatto. Non lo siamo già oggi. Come. Molti hanno notato, da quando fu licenziato in maniera brutale Silvio Berlusconi dal suo ruolo di presidente del Consiglio e poi dallo stesso Senato, l’Italia non ha più avuto un capo del governo che fosse espressione della maggioranza degli italiani. L’Europa non gradirebbe un governo guidato dal Pd e meno che mai dai Cinque Stelle, ma neanche dalla destra delle due versioni Salvini o Meloni. Certo, accetterebbe qualsiasi responso uscito dalle urne, ma una cosa è chiara a Bruxelles: l’Italia è stata selezionata per ottenere un enorme up-grade nel rango europeo e l’Unione è disposta a pagare una discreta fortuna per ottenere questo risultato. Ma la stessa EU non intende farsi fregare dagli italiani che scippano la borsa ed evadono dagli obblighi. L’Unione non vuole saperne di chi si è pentito sulla via di Damasco e sta ancora con la Le Pen.

Tutto ciò riporta alla candidatura Berlusconi che è silenziosamente auspicata a sinistra e ipocritamente sabotata a destra. Berlusconi sarebbe il Presidente perfetto: testimonierebbe con l’ultima parte della sua vita la cicatrizzazione delle antiche ferite, e consentirebbe di chiudere il tempio di Giano, che resta aperto finché la Repubblica è in guerra. Sarebbe la soluzione perfetta che consentirebbe a tutti di tirare un sospiro di sollievo, non porterebbe ad elezioni anticipate salvando così la testa e la pensione dei deputati che si sentono come i tacchini quando arriva Natale e ovviamente sarebbe di totale e volenteroso supporto a Mario Draghi di cui enfatizzerebbe dl qualità che lui, Berlusconi, per primo vide quando lo scelse come candidato italiano alla Presidenza della Banca Europea, contro il parere infuriato dell’ex Presidente Francesco Cossiga.

Ci sarebbe un po’ di maretta, qualche corteo selvaggio da riassorbire, ma nulla di terribile e che sarebbe presto dimenticato. Ma gli unici che soffrirebbero di una tale felice quadratura del cerchio sarebbero Giorgia Meloni e Matteo Salvini che non senza legittimità pensano di avere la maggioranza nel Paese, ma che sanno anche di non poter chiedere elezioni anticipate che farebbero infuriare tutti. Ed ecco il paradosso in casa Centro-destra, una casa che ha già dimostrato la sua inconsistenza durante le recenti elezioni amministrative che hanno dimostrato quanto sia poco affidabile una coalizione che propone candidati che vengono bocciati dagli elettori.

La verità, ci sembra, è che non esiste alcun centro-destra se non nel nome e nella speranza che esso possa occasionalmente manifestarsi in acque forme e formule rituali con le quali il taglio delle tasse e il sostegno agli esercenti e partite Iva. Già sulla questione dei migranti le cose si mettono male sul piano internazionale con quel che sta accadendo alla frontiera polacca con la Bielorussia.

La partita è semplificata e alla fine prevarranno le volontà europee a meno che con intervengano colpi di scena a ripetizione come quello delle rivelazioni a comando e a orologeria somministrata da centrali di intelligence che agiscono come vere lobby politiche. Quello delle agenzie di intelligence che si dedicano solo al lobbying è il vero elemento dubbio di una battaglia che dovrebbe concludersi in modo logico ma che invece potrebbe imboccare direzioni per ora non visibili ai comuni mortali.


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