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L'ex premier Giuseppe Conte

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ANCHE Giuseppe Conte – scrive Il Foglio – intende proporsi, nella corsa al Quirinale, come king maker; anzi come queen maker, perché la sua candidata sarebbe Silvana Sciarra, attualmente giudice della Corte Costituzionale, eletta dal Parlamento nel 2014 (proposta dal Pd e sostenuta anche dal M5S).

Come Conte Sciarra è pugliese, e professore emerito dell’Università di Firenze, lo stesso ambiente frequentato dall’ex avvocato del popolo. Intendiamoci: il curriculum di Silvana Sciarra è di tutto riguardo. Allieva di Gino Giugni, giuslavorista di fama internazionale, vanta titoli di grande prestigio non solo nella sua materia, ma anche nelle istituzioni culturali dell’Unione europea. Ha diretto riviste giuridiche e scritto manuali, monografie e saggi di notevole prestigio.

Conte, però, che conosce l’accademia, sa bene che anche attraverso lo studio, le pubblicazioni e (dalla Consulta) le sentenze si finisce per manifestare un orientamento culturale riconducibile ad una visione del mondo e dei rapporti economici e sociali, soprattutto in una materia che approfondisce le regole di quei conflitti che – un tempo – erano definiti “di classe’’ e che mettono allo scoperto interessi contrapposti in quella attività umana – il lavoro – che presiede alla vita delle persone, allo sviluppo della personalità e al riconoscimento di uno stato compiuto di cittadinanza.

Nel diritto del lavoro, poi, il pensiero ”progressista’’ vive la stessa contraddizione che è aperta nell’ambito della sinistra, tra una visione riformista ed una più tradizionale che si risolvono nel ritenere che i diritti dei lavoratori possano evolvere nel contesto dei cambiamenti dell’economia oppure nel contrastare risolutamente ogni modifica.

Basta vedere l’atteggiamento della dottrina nei confronti del jobs act: una parte (minoritaria?) dei giuslavoristi lo ritiene, pur con dei limiti, un contributo rilevante alla modernizzazione del diritto, mentre un’altra parte ne contesta molte innovazioni; tanto che – a quanto si legge – Conte presenta come un titolo di merito di Sciarra l’essere co-autrice, da giudice costituzionale, di una sentenza che ha bocciato proprio il jobs act.

Silvana Sciarra

Tutto ciò premesso e con il rispetto dovuto ad una giurista di vaglia come Silvana Sciarra, ritengo che la sua elezione al Quirinale avrebbe una netta impronta di sinistra più orientata alla conservazione che all’innovazione. Ovviamente questi sono punti cardinali che ognuno interpreta a suo modo. E che variano nel tempo. Anzi ricordo un film intelligente di Marco Tullio Giordana del 1980 “Maledetti vi amerò’’ nel quale il protagonista del ’68 che ha trascorso anni in esilio per problemi di giustizia, ritorna in Italia e trova che tutto è cambiato. Ad un certo punto, il nostro si mette a giocare con le parole e si accorge che alcune considerate di sinistra sono divenute di destra e viceversa.

Tornando a noi, come giudice delle leggi alcune sentenze di cui fu relatrice suscitarono molto scalpore – anche su di un piano prettamente giuridico – come quella relativa al blocco dell’indicizzazione a carico delle fasce al di sopra di tre volte l’importo del minimo (fino a 1.405,05 euro lordi mensili nel 2012, e 1.443 nel 2013 l’indicizzazione restava al 100 per cento dell’inflazione), stabilità dal governo Monti. Le pensioni d’importo superiore non ricevevano alcuna rivalutazione.

Questa misura fu dichiarata incostituzionale perché viziata da inadeguatezza (sentenza n.70 del 2015, relatore Silvana Sciarra). Il che indusse il governo Renzi a rimediare per decreto (dl n.65/2015) ampliando, in modo retroattivo, il numero dei soggetti tutelati (senza coprire tuttavia l’intera platea), e con aliquote di perequazione ridotte man mano che cresceva l’ammontare del trattamento. Le opposizioni di allora protestarono insieme ai sindacati, rivendicando l’integrale copertura. La Consulta considerò legittimo l’aggiustamento, respingendo tutti i ricorsi avversi.

Ma la giudice Sciarra – oltre che per altre sentenze – è ricordata in particolare per la posizione assunta nel dibattito sull’ammissibilità del quesito referendario, presentato dalla Cgil (con cui in passato Sciarra aveva collaborato), che avrebbe esteso a tutti i datori di lavoro – anche al salumiere sotto casa nei confronti dell’unico commesso – l’applicazione dell’articolo 18. La Corte dichiarò inammissibile la richiesta di referendum denominato «abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi».

Ma, come scrisse il 17 gennaio 2017, Il Sole-24Ore, “la Corte sarebbe stata invece divisa sul primo quesito Cgil, quello sul ripristino dell’articolo 18, di cui è relatrice la giudice Silvana Sciarra. È lei che ha guidato il partito dei favorevoli, contrapposto a quello dei contrari capitanati dall’ex premier ed esponente di spicco del Psi Giuliano Amato, che ha sostenuto invece l’inammissibilità del quesito’’. Vedendo sconfitta la sua tesi Sciarra rinunciò a scrivere le motivazioni dell’ordinanza.

Ovviamente la reazione della Cgil fu pronta e indignata. Novanta minuti dopo la notizia del giudizio di inammissibilità, la segretaria Susanna Camusso annunciava che il sindacato avrebbe valutato «tutte le possibilità per ristabilire i diritti, compreso il ricorso alla Corte europea».

Un voto sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori aveva un valore politico e significava, in quel contesto, una scelta di campo netta e chiara a fianco della Cgil, nonostante gli effetti che sarebbero derivati dall’eventuale successo del referendum con l’ingessatura dei rapporti di lavoro ben al di sotto del limite dei 15 dipendenti (come aveva disposto il legislatore del 1970). Pertanto, io non mi stupirei se, con Silvana Sciarra al Quirinale, Maurizio Landini finisse, prima o poi, a Palazzo Chigi.


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