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Silvio Berlusconi

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Il centrodestra “sceglie” Silvio Berlusconi come candidato a sostituire Sergio Mattarella e se questa indicazione venisse mantenuta fino al 24 gennaio vorrebbe dire mandare a monte la possibilità di eleggere entro i primi tre scrutini un capo dello Stato con la più larga maggioranza possibile. Il centrosinistra, infatti, sul Cav non può convergere: le serate eleganti sono sostituite dalle telefonate attraenti, ma è difficile immaginare che facciano breccia.

Un presidente della Repubblica eletto entro i primi tre scrutini rappresenterebbe un balsamo per la credibilità internazionale dell’Italia e una iniezione di fiducia per le malmesse istituzioni nostrane. Ma al momento è una possibilità che non riesce nemmeno ad essere quotata tanto è labile. La candidatura di Berlusconi, come qualunque altra non preventivamente concordata, la spedirebbe inderogabilmente nel regno dell’impossibile.

Intendiamoci. Come sempre, l’elezione del capo dello Stato da parte dei Grandi Elettori prevede più fasi. La prima, appunto, la più politicamente significativa, si esprime quando il quorum è dei due terzi degli aventi diritto. Candidature in qualche misura “divisive” e, appunto, non frutto di un accordo preliminare tra le forze politiche, la sbriciolano: altro che la scelta di una figura “che rappresenti l’unità della Nazione”, come recita il comunicato finale del summit di Villa Grande.

C’è ancora una settimana di tempo per provare a cambiare metodo e far avanzare un meccanismo efficace di confronto e dialogo. Anche per questo, oltre che per verificare l’effettiva consistenza del pacchetto di voti in mano a Berlusconi, il centrodestra tornerà a riunirsi la prossima settimana, magari per valutare le mosse del Pd all’indomani della riunione della Direzione del partito.

È giusto continuare a sperare in un sussulto di resipiscenza che abbia il carattere della lungimiranza “e della valutazione degli interessi generali e del bene comune”, come è tornato ad insistere Gianni Letta ai funerali di David Sassoli. Quelle che allo stato appaiono pie illusioni potrebbero all’improvviso acquisire consistenza: provocare macerie che poi risulterebbe complicato sgombrare non serve a nessuno.

Allo stesso tempo, il realismo impone di considerare cosa accadrebbe se Silvio Berlusconi formalizzasse la sua candidatura. Per i primi tre scrutini si è già detto. Non avendola mai considerata una candidatura di bandiera, a quel punto il Cav sarebbe costretto a proporla anche al quarto scrutinio, quando la maggioranza necessaria per l’elezione scende a 505 voti. Salvini, Meloni e i centristi assiepati meno fossato attorno all’ex premier dovrebbero anche loro obbligatoriamente sostenerla.

Ma in che modo si voterebbe? Il centrosinistra giallorosso fa intendere che potrebbe uscire dall’aula per far emergere eventuali franchi tiratori ed evitare funeste tentazioni nel suo schieramento. Dove li prende il Cav i 70-80 e più voti necessari per essere eletto? Ma stare fuori dall’aula non è un bel gesto e dunque il centrosinistra alla fine potrebbe decidersi a votare. Se Berlusconi non supera l’asticella, che succede? È evidente che a quel punto il centrodestra subirebbe contraccolpi non indifferenti e lo spettro dello sfarinamento assumerebbe contorni concreti. Salvini, che pure sembra capace di farsi concavo e convesso a seconda delle circostanze e perfino troppo, ha assicurato che la compattezza del suo schieramento resisterà fino alla fine. Formulazione non chiarissima ma che potrebbe condurre ad un aut aut verso Silvio: finora ci hai chiesto di votarti e noi stiamo stati leali; adesso che è certificato che non ce la fai passa la mano e lascia giocare noi la partita.

Dando per scontata una compattezza che nel centrosinistra è come l’Araba fenice, a quel punto tornerebbe in ballo l’assioma che in realtà avrebbe dovuto (e ancora dovrebbe) essere la bussola fin dal primo momento. E cioè che il nuovo capo dello Stato va cercato nel perimetro della maggioranza che sostiene il governo Draghi. Di conseguenza, due sole sarebbero le possibilità: o promuovere SuperMario al Colle oppure tornare a chiedere il bis di Mattarella. Altri nomi sono possibili ma rischierebbero di essere incapaci di trovare assensi sufficienti dentro il campo da gioco delle attuali larghe nonché strambe intense.

Ma che valore avrebbe l’eventuale ”ripescaggio”, chiamiamolo così, del duo Draghi-Mattarella? Comunque la si rigiri, apparirebbe una soluzione di ripiego, la scelta di chi ha fallito l’individuazione prioritaria di una personalità bipartisan, e questo riguarderebbe sia il centrodestra (più colpevole) che il centrosinistra (in forte debito di amalgama). Oltre che ovviamente rappresentare la debacle definitiva di ambizioni personali naufragate nell’incapacità di chi mette la propria individualità e il proprio sentimento di rivincita al di sopra degli interessi del Paese. Uno statista, infatti, si riconosce anche nel momento in cui capisce che i suoi disegni hanno un carattere di distruttività invece che di coesione, e fa un passo indietro.

Tuttavia se il ripescaggio diventasse strada obbligata, nei riguardi di Draghi assumerebbe il senso di una sfiducia ancorché limitata che ne scalfisce il prestigio e l’agibilità, con annesso obbligo di stabilire un percorso per un nuovo esecutivo: cioè si tornerebbe al punto di partenza che oggi il Moloch berlusconiano ostruisce. Nel caso di Mattarella minaccerebbe di avere maggiore negatività. Rappresenterebbe infatti la riproposizione dieci anni dopo dello schema Napolitano: l’ennesima e forse definitiva perdita di autorevolezza della classe politica. Forse Draghi, che non ha mai fatto mistero di considerare il Quirinale una possibilità, potrebbe attutire in qualche modo lo smacco e i partiti riprendere il pallino dell’iniziativa dovendo come detto definire un nuovo esecutivo che duri fino alla fine della legislatura. Per Mattarella avrebbe il segno di una sfiducia per non averlo voluto rieleggere al primo scrutinio con un larghissimo schieramento parlamentare, e di uno strumentale appello per non precipitare nel baratro. In ambedue i casi, un epilogo livido e denso di insidie.


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