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L'Unical di Rende

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Mi chiamo Osvaldo Vetere e sono un giovane del Sud che ha raccolto l’invito del direttore Roberto Napoletano a scrivere il mio pensiero sull’AltraVoce dei Ventenni.

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Non faccio parte di quei ragazzi che rinnegano la propria terra d’origine e non vedono l’ora di andare a vivere fuori, anzi, nonostante sia andato temporaneamente via per motivi di studio, come molti miei conterranei sognano di fare, non riesco a stare lontano da casa. Forse è proprio grazie al mio trasferimento nella capitale che ho iniziato ad osservare la questione con occhi diversi e una domanda, da tanto tempo ormai, mi rimbomba nella testa: perché io, ventenne del Sud, se voglio eccellere e affermarmi devo per forza andare a studiare fuori?

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Perché non posso avere le stesse possibilità dei miei coetanei milanesi, giusto per fare un esempio, che al compimento dei 18 anni di età hanno la possibilità di scegliere tra un’ottima università privata e un altrettanto buona università pubblica che offre quasi le stesse possibilità? Perché un laureato dell’Università della Calabria – a parità di voto – non può essere considerato bravo quanto uno della Bicocca, del Politecnico, della Cattolica o della Bocconi?

Io, giovane del Sud, voglio essere valutato per le mie capacità, non per la sede in cui ho conseguito la laurea. Sicuramente un’università con meno risorse potrà offrire meno servizi ai suoi studenti, ma le capacità e le competenze non dovrebbero essere valutate sulla base delle risorse investite. Eppure è quello che quotidianamente avviene. E sarà sempre più difficile se dovesse attuarsi la cosiddetta “Autonomia differenziata” su cui l’attuale leader leghista punta fortemente, perché, tra le competenze oggetto di possibile autonomia, rientra proprio l’istruzione.

L’Autonomia differenziata avrà la conseguenza di rendere sempre più ampia la sperequazione nella distribuzione delle risorse tra il Nord ed il Sud, condannando cosi la nostra terra ad un inesorabile declino.

Ma siamo sicuri che questa manovra sia perfettamente lecita? 

L’Art. 3 della nostra Costituzione al secondo comma recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Beh, a mio modo di vedere l’Autonomia differenziata – esprimo un giudizio di valore – contrasta strutturalmente e non poco con tale principio, essendo un chiaro ostacolo di ordine economico e sociale che va a ledere l’uguaglianza dei cittadini. Come la mettiamo con il fatto che si procede da dieci anni, nel silenzio complice di tutti, con il criterio della spesa storica che in modo miope rende il ricco sempre più ricco e il povero sempre più povero?

Il Sud non vuole essere una palla al piede – come più volte definito – per il Nord, non ha bisogno di forme di assistenzialismo quali il Reddito di Cittadinanza; il Sud per risollevarsi ha bisogno di risorse: maggiori risorse si traducono in un aumento delle infrastrutture e dei servizi, in un aumento dei posti di lavoro e di una corrispondente diminuzione del tasso di disoccupazione, in maggiori possibilità per lo sviluppo del territorio. Ovviamente la classe dirigente meridionale deve essere all’altezza, ma se così non sarà si operi a livello centrale purché si operi, purché arrivino i treni, le scuole, le risorse per la ricerca e la sanità, di cui abbiamo bisogno. Solo così il Sud potrà tornare ai fasti di un tempo, solo cosi l’intero paese potrà crescere ed uscire dall’attuale crisi economica. Il Sud ha bisogno dell’Italia e l’Italia – ma soprattutto il Nord – ha bisogno del Sud. Bisogna promuovere una crescita comune, non una lenta e progressiva secessione. Per il bene del Mezzogiorno, per il futuro dell’Italia: questa è la battaglia delle battaglie, ogni altra questione viene dopo.


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