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Un momento del Gay prode di Reggio Calabria

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5 minuti per la lettura

di CHIARA ALLEVATO

La storia dei moti di Stonewall, ormai leggenda, inizia ufficialmente il ventotto giugno di cinquant’anni fa, quando Sylvia Rivera fu la prima a reagire agli ennesimi soprusi degli agenti di polizia contro la comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender), colpendo con una bottiglia il poliziotto che l’aveva pungolata col manganello. Col suo gesto, Sylvia suscitò una reazione che portò a una serie di azioni e manifestazioni che segneranno la nascita del movimento di liberazione gay. In onore di questi eventi, così significativi per la comunità LGBT, è stato istituito il Pride Month e da allora giugno è diventato il mese in cui viene celebrata con orgoglio ogni diversità, in cui si sfila in parate organizzate per rivendicare i diritti di chi ancora non si sente tutelato e sensibilizzare sui temi che ancora generano dibattito, stimolando conversazioni tra cittadini e associazioni.

Quest’anno, il mese del Pride è iniziato in anticipo con i migliori auspici, alla notizia dell’elezione del primo sindaco transgender della storia d’Italia: Gianmarco Negri è stato eletto primo cittadino il 28 maggio 2019. Il neosindaco di Tromello ha approfittato della sua posizione per rendere nota la sua storia difficile, lanciando un messaggio di speranza per altri giovani che cercano il coraggio di accettarsi e farsi accettare nonostante i molti limiti della società italiana a rapportarsi con la comunità transgender, in primis dal punto di vista linguistico. Molti quotidiani, infatti, si sono riferiti a lungo a Gianmarco usando il suo nome femminile e mostrato un’attenzione morbosa per i dettagli più intimi della sua transizione, ignorando aspetti ben più importanti riguardanti il percorso di accettazione.

Giugno è stato segnato da eventi e pride organizzati in tutt’Italia che hanno registrato una partecipazione notevole. Anche la Calabria, nonostante sia una delle regioni d’Italia con maggiore omertà sui casi di omofobia, sta aprendo le porte al movimento, ospitando il Reggio Calabria Pride il 27 luglio.

Eppure. Il Pride è una festa per tutti, ma troppo spesso si dimentica la sua connotazione attivista, sfiliamo per mostrare quanto siamo favolosi nella nostra diversità ma anche per dire “Noi esistiamo”, manifestando perché tutti abbiano gli stessi diritti. Partecipare significa anche creare un dialogo che permetta di dare voce a chi fa parte della comunità e alle loro esigenze. Cinquant’anni sono pochi, i paesi in cui il matrimonio gay è legalizzato non sono ancora tanti e i tentativi di togliere quei pochi diritti acquisiti sono ancora troppi per pensare che il più sia stato fatto. E le prove di tutto ciò le abbiamo viste questo mese, il mese di giugno, il mese che vuole parlare di liberazione e inclusione, che vuole dare spazio a lesbiche, gay, bisessuali… Il mese in cui a essere protagonisti sono stati: gli eterosessuali. Anzi, gli etero cisgender.

I principali confronti, ormai, avvengono su internet- ad oggi luogo fondamentale per discutere ed essere aggiornati sui temi che stanno davvero a cuore alla stessa comunità LGBT. Un luogo di una influenza tale che molti politici, internazionali e italiani, ne hanno colto il potenziale e investito soldi e personale nella comunicazione social, riuscendo in molti casi a monopolizzare l’attenzione dei media tradizionali.

Twitter, Facebook e Instagram si dividono l’attenzione del pubblico interessato al pride e soprattutto all’anima dell’evento. Ma invece di stimolare dibattiti, lo spazio già stretto è stato completamente occupato da aziende e alleati. Gli alleati sono coloro che sostengono attivamente i diritti e le iniziative della comunità- pur non facendone parte. La tendenza che si è registrata attraverso diversi post che, pur con intento nobile, hanno attirato più attenzione di altri, è che l’inclusione urlata agitando la bandiera arcobaleno arroghi a tutti il diritto di parlare, anche quando non si è titolati a farlo.

Può esservi discriminazione quando a sentirsi discriminata è una categoria privilegiata? Il senso di movimenti come Black Lives Matter negli Stati Uniti non è sminuire le violenze della polizia sui bianchi, ma riconoscere che il razzismo è talmente radicato che la statistica vede gli afroamericani come categoria a rischio e minoranza non tutelata, che ha bisogno di campagne specifiche per sensibilizzare sul fenomeno. Il movimento femminista non può essere accusato di sessismo quando indica, statistiche alla mano, gli uomini come i principali autori di violenze sulle donne, non vuole sminuire le violenze subite dagli uomini, ma mettere in risalto le disparità di chi ancora oggi non sente di aver raggiunto uguaglianza di diritti- giuridica, teorica, fattuale.

Dietro le ottime intenzioni si nasconde un protagonismo che danneggia il movimento e impedisce che i veri detentori dei diritti vengano ascoltati. La massiccia presenza di aziende che per questo mese- e questo mese soltanto- ha colorato i propri prodotti con l’arcobaleno, senza avviare campagne concrete a favore della comunità LGBT, ha portato al pride alleati che mai prima di allora avevano mostrato interesse per la causa. Etero come Caterina Balivo, scelta come madrina di Milano Pride da un gruppo di organizzatori che devono essere stati terribilmente sbadati per aver designato al ruolo non solo una donna cisgender- ignorando le numerose personalità LGBT che potevano lanciare più efficacemente il messaggio- ma anche una conduttrice che più di una volta ha mostrato atteggiamenti misogini e transfobici. Una svista che è stata ferocemente attaccata sul web e che ha imposto un ripensamento degli organizzatori che, nel dubbio, una madrina non l’hanno più scelta.

E dove sono le voci di lesbiche, gay, bisessuali? Non pervenute. Coperte dall’esibizionismo di chi ruba microfoni che verranno smontati a fine mese. Ormai siamo bravi a spiegare perché il Pride non è una “carnevalata”, sarà difficile rivendicare il giusto spazio per le persone che davvero hanno bisogno di quel mese e di quella festa, per non dimenticare a chi è rivolta. Non puoi mostrare atteggiamenti transfobici e partecipare al pride, perché fu una trangender a scagliare la prima bottiglia, non puoi essere misogino perché fu una donna, non puoi essere razzista perché Sylvia Rivera è afroamericana, ma non puoi neanche- da eterosessuale cisgender- prendere tu in mano la bottiglia e scagliarla per lei, perché non è il tuo compito, non è la tua lotta, la tua lotta è dire ogni giorno che fa bene a esistere una Sylvia Rivera e contrastare chi non riconosce i suoi diritti, non cercare la loro approvazione. Non si lotta solo a giugno, solo al mese del Pride, si lotta tutti i giorni dell’anno, finché ognuno si sentirà libero di essere se stesso.


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