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L'articolo del Corriere della Sera che sosteneva che il divario tra nord e sud sarebbe stato colmato nel 2020

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A.D. 1972, 13 settembre: il “Corriere della Sera” titola la sua prima pagina con un saettante “Il divario tra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”. Un misto tra la lungimiranza di Nostradamus e la fiducia estatica dei Segreti di Fatima. A.D. 2020, 6 gennaio: in diretta dal Futuro, o dal Presente a seconda dei casi, posso ufficialmente comunicarvi che così non è stato e, d’altronde, che profezia sarebbe se non venisse completamente e inesorabilmente disattesa?

E come un narratore onnisciente superiore al tempo stesso, vi scorto con me attraverso gli eventi, più o meno noti, che hanno progressivamente denunciato quell’ingiusta disparità di trattamento tra Nord e Sud che attanaglia l’Italia. Primo tra tutti, il discorso del Presidente Mattarella: il Capo dello Stato, nel rituale discorso di fine anno, ha ribadito la necessità di ridurre il crescente divario tra Meridione e Settentrione. “A subirne le conseguenze” ha poi ammonito il Presidente della Repubblica, «non sono soltanto le comunità meridionali ma l’intero Paese, frenato nelle sue potenzialità di sviluppo». È un concetto così semplice che sembra essere ancora invisibile agli occhi di chi, ottusamente, segretamente brama un’Italia federalista, divisa, dilaniata. Il nostro Paese non è composto da realtà a sé stanti ma da ingranaggi che, per permettere alla macchina di funzionare in modo organico, devono lavorare all’unisono.

«Per dire, con estrema chiarezza, che fare ripartire il Sud significa fare ripartire il Paese nel suo complesso» come ha scritto da queste stesse pagine il Direttore Roberto Napoletano, commentando proprio il discorso di Mattarella (LEGGI L’EDITORIALE DI ROBERTO NAPOLETANO).

Ebbene, pare che non tutti abbiano compreso appieno l’importanza di queste parole. Non le hanno capite i nostri connazionali che continuano imperterriti a boicottare l’acquisto della frutta e della verdura coltivate nella Terra dei Fuochi poiché “contaminate”, nonostante sia stato ribadito tante volte e da disparate fonti, tutte autorevoli, che così non è. E invece, guarda tante volte il caso, l’hanno compreso gli americani e, a seguire, pure diversi Paesi dell’Unione Europea che non hanno mai smesso di importare i prodotti di quelle terre, salvando dal baratro del fallimento migliaia di famiglie e di agricoltori.

Noi, sì proprio noi italiani, abbiamo gridato allo scandalo quando, nei telegiornali, rimbalzavano le notizie sull’Ilva di Taranto: quanti morti, quanti malati, quanta disperazione! E poi? E poi abbiamo cominciato a dimenticarci di quel nome così famoso e delle sorti dei tarantini. Sedevamo sereni in attesa del weekend quando il 7 novembre dello scorso anno i lavoratori non aderivano allo sciopero indetto dal Sim, Fiom e Uilm all’ArcelorMittal di Taranto – il siderurgico ex Ilva – contro i 5mila esuberi dichiarati dalla stessa ArcelorMittal.

Davanti al dramma di quella città ancora piegata dal peso dei suoi malati e della nuova paura dei suoi lavoratori, noi facevamo spallucce e prenotavamo su TheFork il tavolo per la cena del sabato con gli amici in ristoranti che, rigorosamente, non servono pietanze contenenti la frutta e la verdura di cui sopra. E che dire della temutissima “malasanità” del Sud? Una volta, in uno dei miei vari soggiorni estivi in Calabria, ho sentito una persona dire: «se dovessi sentirmi male, non portatemi in uno di questi ospedali, piuttosto muoio al Nord!».

Si sa, al Sud è semplice morire in ospedale, colpa dell’incompetenza dei medici meridionali, degli sperperi di “denaro pubblico” che causano strutture fatiscenti e obsolete. Eppure, notizia delle notizie, si scopre poi che la “sprecopoli” nell’ambito sanitario è proprio al Nord e che ben il 42% delle risorse finanziarie è assorbito dalle Regioni settentrionali. A dirlo non sono io o la penna di Carlo Porcaro che ha qui denunciato il “fattaccio”, ma la Corte dei Corti, indicando il deficit nella sanità nelle Regioni meridionali come ridotto o, addirittura, annullato.

Sempre gli italiani sono stati particolarmente solerti nel definire “lavativi” i giovani del Sud, dipingendoli come pigri figli di una mentalità lassista e dura a morire; pochi di loro sapevano però che la ripresa, sebbene ancora in corso e tutt’altro che completa, delle PMI del Sud è dipesa proprio da quei giovani definiti svogliati i quali, invece, si sono rimboccati la maniche e hanno creato, con le proprie forze, start-up di ogni tipo per rilanciare il meglio delle proprie terre. Ancora tanti potrebbero essere gli esempi: potrei dirvi di come il Sud rimanga scientemente isolato dal resto dell’Italia dato che “l’alta velocità” si arresta a Salerno; potrei parlarvi di come le giovani donne al Sud innalzino il livello di cultura e istruzione media e di quanto, questo, sia un messaggio importante e, probabilmente, foriero di un nuovo ciclo per le sorti del Meridione. Insomma, avrei ancora tanto da mostrarvi ma questo piccolo viaggio termina, momentaneamente, qui. Badate bene: ho parlato di viaggio, non di pellegrinaggio. Il Sud non ha bisogno di miracoli, non ha bisogno di promesse né di profezie: ha bisogno di concretezza.

Ha bisogno di investimenti, di fiducia, di imprese e di piani di risanamento fattibili. Forse, più di ogni altra cosa, il Sud ha bisogno di un’ammissione di colpa da parte di chi, negli anni passati a governare il nostro Paese, l’ha lasciato indietro con false promesse nella convinzione che, investendo al Nord, la macchina così avviata avrebbe trainato l’Italia tutta in una sorta di moto indotto. Basta promesse, basta bufale, basta miraggi.

Ripartiamo dal Sud, sul serio però.


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