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Ciro Grillo

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Il giustizialismo è, di per sé, una vera e propria condanna. Ed infatti, sebbene la decisione e l’accertamento della colpevolezza del figlio di Beppe Grillo, siano rimessi (come è logico) ai magistrati, sembra che il padre del Movimento 5 Stelle stia indirettamente scontando la gogna che spesso lui per primo ha riservato ad altri.

I processi lampo da fast-law, quelli condotti dai media e sui social, non sono mai equi e, soprattutto, sono sempre parziali. Nonostante, quindi, siano i giudici a dover accertare se sia o meno avvenuto due anni fa lo stupro di una ragazza ad opera di quattro giovani tra cui Ciro Grillo, Beppe Grillo si è palesato sui social con un video a difesa del figlio.

Toni alterati, comprensibili se riferiti ad un padre; parole invece ingiustificabili, anche se pronunciate da un afflitto genitore: “Perché non li avete arrestati subito? Ce li avrei portati io in galera, a calci nel c*lo. Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato alcuno stupro. Una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia… Vi è sembrato strano. Bene, è strano”.

Come si diceva, nessuno può sostituirsi alla giustizia, nemmeno il padre di un indagato, ma il vero punto nevralgico del discorso è un altro e tocca molte più persone di quanto si possa immaginare, tanto da aver scatenato sulle varie piattaforme social il movimento #ilgiornodopo. Ragazze e ragazzi hanno infatti prestato le proprie storie per smentire il ragionamento di Grillo: il fatto che una persona assuma un contegno “normale” dopo uno stupro, non mina la veridicità né la violenza dello stupro stesso.

Si legge, tramite i post, di donne che, il famoso “giorno dopo”, sono andate a fare la spesa o hanno normalmente frequentato una lezione all’università. E, si badi bene, molte storie appartengono a persone che non hanno mai denunciato quanto avvenuto proprio perché lo stigma sociale e, per certi versi, l’odissea che da vittime avrebbero dovuto affrontare, hanno fatto sì che desistessero.

Ecco quindi che, qualcuno, ha menzionato la “cultura dello stupro” e cioè quell’insana attenzione che, in casi come questo, si riserva alla vittima o presunta tale e non anche al carnefice o presunto tale. Ci si chiede perché la ragazza indossasse una gonna molto corta, perché si fosse ubriacata o perché, appunto, il giorno successivo avesse frequentato una lezione di kitesurf.

Nessuno si chiede perché non avrebbe dovuto farlo e, proprio come accaduto a Grillo, non si tiene mai in conto la variabile dell’emotività e della psiche individuale. Non tutti conservano freddezza e lucidità dopo un evento traumatico; non tutti le recuperano in tempo utile per potersi rivolgere alle autorità e chiedere che venga fatta giustizia.

Si pensi che in molti Paesi, tra cui l’Italia, ancora non si conosce/riconosce a livello sociale la variante del cd. “stupro domestico” e cioè della violenza sessuale perpetrata ai danni del partner. In quest’ultimo caso, il rapporto affettivo che lega vittima e carnefice, non “invalida” lo stupro ma, al contrario, fornisce l’occasione e quasi sempre risulta essere il vero ostacolo alla denuncia per la sua attitudine a confondere i limiti di giusto e sbagliato nella mente della vittima.

Stupri che, a quel punto, possono anche reiterarsi per anni senza che l’abusata/o ne abbia effettiva consapevolezza. È quindi etico mettere in dubbio la sofferenza di una persona o l’esistenza di un trauma solo perché, quella stessa persona, non si è chiusa in casa a piangere? Ad ognuno di noi è capitato, almeno una volta nella vita, di riuscire brillantemente a nascondere una delusione, una sofferenza o un dolore.

La stessa cosa, ne sono certa, sarà capitata anche a Beppe Grillo. Ebbene, con un trauma come quello dello stupro, la vittima può arrivare a rifiutare il concetto stesso di esser tale, può rimuovere il ricordo, può non accettarlo.

Ma non per questo non ha subito uno stupro. È allora comprensibile che un padre voglia convincere tutti che il figlio non sia un carnefice, ma questo non lo autorizza a voler convincere tutti che quella ragazza non sia una vittima.


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