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Gli Eroi nella Terra dei Neet. L’ultimo e inedito capitolo della saga de “Il Signore degli Anelli”? ‘Purtroppamente’ no, come direbbe Cetto La Qualunque. I ‘neet’ (Not in Education, Employment or Training, ndr) in Italia, e cioè i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati negli studi, nel lavoro e più in generale in percorsi di formazione, nel 2020 sono aumentati di 97.000 unità rispetto al 2019.

A causa della pandemia, secondo i dati diffusi dall’Eurostat, la percentuale è passata dal 22,1% del 2019 al 23,3% del 2020 (il dato peggiore in Europa), per un totale di 2,1 milioni di giovani italiani, fondamentalmente, senza prospettive.

A questi dati catastrofici, si aggiungono quelli riportati nel Rapporto Nazionale INVALSI 2021: sulla scia di un trend generalmente negativo che vede un peggioramento nella preparazione degli alunni di quinta superiore rispetto al 2019 (che molti addebitano alla DAD), le regioni del Sud sono quelle che presentano un maggior numero di studenti al di sotto del livello “minimo”.

A titolo esemplificativo, in Campania il 64% dei liceali non raggiunge la soglia minima di competenza nella lingua italiana; in Calabria ritroviamo la stima del 64% e in Abruzzo il 50%. Nelle altre materie la situazione di certo non è migliore. Eppure, nonostante un panorama a dir poco catastrofico, la comunicazione portata avanti dai media nazionali si concentra sulla mitizzazione di quei pochi, pochissimi giovani che raggiungono traguardi – accademici e lavorativi – ragguardevoli in tempi record.

E se le mamme dei nostri ricordi, tra elementari e medie, insegnano qualcosa, possiamo certamente dire che questa narrazione tossica non fa altro che peggiorare il senso di inadeguatezza comune. I media si stanno comportando esattamente come quei genitori che, nella falsa convinzione di stimolare la competitività del pargolo, riproponevano (almeno ai miei tempi) ossessivamente all’attenzione di quest’ultimo i successi scolastici raggiunti dal compagno o dalla compagna di scuola di turno.

Ovviamente, non ottenevano nulla da parte del figlio se non determinare un’innata e ingiustificata antipatia nei confronti della prima o del primo della classe. E così la comunicazione all’italiana, bombardando smartphone, tablet e pc con le notizie dei ragazzi prodigio, non ottiene schiere di ‘neet’ rinvigoriti dalla provocazione e pronti alla battaglia nel mondo del lavoro o in quello accademico, ma una pletora di giovani che sprofondano ancora di più nel baratro dell’inadeguatezza.

Quei titoloni, proni alla spersonalizzazione del vissuto, mitizzano vite e soggetti senza sapere quale sia effettivamente la verità dietro a quelle vittorie, non indagano sulle circostanze che, congiunte, hanno permesso il raggiungimento di quell’obiettivo. Altrettanto, quegli stessi titoloni, non tengono in conto l’evidente divario tra le fasce della popolazione né si occupano di denunciare quella carenza di mezzi che, spesso, fa la differenza tra un laureato e uno spacciatore.

Urlare ai quattro venti “se vuoi, puoi” tramite la mitizzazione di quei pochissimi che “ce l’hanno fatta”, è nascondere la testa sotto la sabbia e portare avanti un canale comunicativo pericoloso. È un processo di deresponsabilizzazione nei confronti delle Istituzioni che, per lungo tempo, sono state completamente (o quasi) assenti non solo in alcuni particolari territori ma anche, come si diceva, nelle fasce di popolazione economicamente e culturalmente meno “elevate”.

I media dovrebbero preoccuparsi di denunciare queste ingiustificabili differenze che, molte volte, portano a destini predeterminati. Insomma, se non tutti hanno le stesse possibilità (escludendo le pur presenti variabili quali “raccomandazioni”, “famiglie influenti” e “agganci”), non a tutti si può richiedere il raggiungimento degli stessi obiettivi soprattutto se, come in Italia, quegli obiettivi sono spesso puri miraggi di meritocrazia nel deserto.

Ai giovani italiani non servono gli esempi di chi “ce l’ha fatta” ma la predisposizione di strumenti per farcela e la creazione di un mercato accogliente e non respingente quale è quello attuale. Complimenti a Pierino che, in un anno e mezzo, si è laureato dodici volte ma complimenti vivissimi a Giulia che, vivendo a Tor Bella Monaca, si è diplomata a vent’anni e fa la cameriera per pagare le tasse universitarie e sfuggire alla sirena della criminalità. Per entrambi dobbiamo costruire un mondo inclusivo ma, per la seconda, non vedo mai titoli di giornale. Eppure, la sua storia, meriterebbe proprio di essere raccontata.


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