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Uscito a pochi giorni dal termine del 2021, “Don’t look up” è un film che ha fatto tanto parlare di sé, nel bene e nel male. L’ultimo lavoro di Adam Mckay ha una trama piuttosto semplice ma che, visto il momento storico in cui ci troviamo, non può che risultare quantomeno familiare. A prescindere da giudizi tecnici sul prodotto cinematografico, è innegabile che questo film, parodizzando la realtà contemporanea, offra una buona sintesi di alcune dinamiche caratteristiche di questi ultimi anni.

La trama immagina la possibile reazione globale alla scoperta di una cometa che, in rotta di collisione con la Terra, porterebbe alla totale distruzione del Pianeta. Viene così raccontato il tentativo dell’opinione pubblica di trasformare un rischio concreto (in questo scenario fantasioso, l’apocalisse) e supportato da dati scientifici, in una questione ideologica e politica. In un contesto sociale ossessionato dal dilagante complottismo, alimentato da un uso sconsiderato dei social media, tutti cercano di approfittarsi di questa catastrofe alimentando timori e disinformazione.

A causa della noncuranza con cui la classe politica tenta di strumentalizzare l’emergenza per ottenere consenso, agli scienziati non resta che rivolgersi direttamente ai mass media, riducendo le proprie scoperte a materiale da talk-show. I cittadini, in larga parte, non credono neppure alla minaccia, neanche davanti all’evidenza di prove concrete.

Senza correre il rischio che un’opera di finzione voglia dirsi risolutiva rispetto alle controversie politico-sociali del nostro tempo, si possono quantomeno rintracciare elementi comuni tra realtà e finzione, utili per tracciare un compendio di quest’ultimo anno. La metafora – da molti giudicata eccessivamente didascalica –  molto esplicita sul cambiamento climatico e sull’emergenza pandemica, è quantomeno riuscita rispetto alle intenzioni. In effetti è impossibile non constatare che, ad anni di distanza dalla diffusione di questi temi, non sembrano esservi stati cambiamenti risolutivi o soluzioni ottimali.

Eppure, come spesso accade quando l’arte stuzzica le polemiche, la tendenza di questo ultimo periodo pare essere quella di prendere coscienza delle similitudini, anche con una certa indignazione, lasciando che questa consapevolezza resti comunque fine a se stessa. Questa pellicola non svela nessuna dinamica sociale celata – e probabilmente non pretende di farlo, diversamente da quanto afferma parte della critica – semmai ribadisce l’ovvio a cui sembriamo esserci eccessivamente abituati. Indignarsi senza reagire sembra essere il leitmotiv – in modo particolare – di questo biennio.

Nel film, gli individui sembrano accettare soltanto una rappresentazione spettacolare della realtà, evitando di guardarla in faccia per come è veramente, ma la situazione, al di là dello schermo, non pare essere assai differente.  Lo scenario descritto è iperbolico e carnevalesco, ma la parte più grottesca è il riferimento all’attualità. Sembra che la possibilità di accedere ad un sempre maggior numero di informazioni non comporti necessariamente l’essere in grado di  provocare cambiamenti considerevoli nella società. Anzi, pare che il rischio – assai concreto – sia quello di una totale assuefazione alle catastrofi. Era il 30 dicembre 2019 quando, sui social network, cominciavano a circolare le prime informazioni relative ai casi di Wuhan.

Due anni dopo, sono stati fatti passi in avanti (in alcuni paesi meglio che in altri) ma non si è intervenuti realmente sulle cause che hanno determinato l’emergenza. Questa non è la prima pandemia che il mondo ha affrontato e non sarà certamente l’ultima. Anche alla fine di questo 2021, volendo tirare le somme, potremmo dire di sapere molto, ma di non stare facendo granché.

Durante la fase iniziale dell’emergenza sanitaria, si ribadiva spesso che ne “saremmo usciti migliori”, ma ad oggi non si intravede né un epilogo né una crescita morale. Senza trascurare l’importanza della campagna vaccinale, a livello umanitario non paiono esserci state differenze considerevoli tra quest’ultimo anno ed il precedente.

Il ritorno ad una normalità smorzata stranisce soprattutto per la presa di coscienza che (come si è banalizzato spesso) “era la normalità il problema”. Eppure, la normalità non è qualcosa che ci piove addosso dal cielo  – come una cometa – ma piuttosto una dinamica che si costruisce. Speriamo che, alla fine di questo inaugurato 2022, saremo in grado di dire che le basi su cui stiamo costruendo il nostro futuro si sono fatte un po’ più solide.


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