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Lo chef Giuseppe Bruno

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Giuseppe Bruno emigrato da Salerno all’età di 17 anni è uno chef ma anche imprenditore e filantropo grazie alle attività svolte con la Columbus Foundation. I suoi ristoranti il Sistina e il Caravaggio nel cuore di Manhattan sono le mete preferite di vip, politici e businessman di Wall Street e di coloro che vogliono trascorrere una serata indimenticabile in un ambiente sofisticato circondati da opere d’arte.

Com’era la tua vita prima di emigrare negli States?

In Italia negli anni ’70 la vita era difficile. Sono figlio di contadini e andavo alla scuola alberghiera a Salerno. Mio nonno non vedeva un futuro per noi nipoti e volle che emigrassimo in America. Nel ‘76 raggiungemmo sua sorella che si era trasferita a New York dopo aver sposato un militare americano. Anche lì in quel periodo non si stava in ottime condizioni ma la situazione lato lavoro era migliore. Infatti, trovai lavoro quasi subito, rifiutavo però di imparare l’inglese perché sentivo molto la mancanza di Salerno. I primi tempi vivemmo con mia zia in New Jersey dove, allora, c’erano le rivolte dei neri e una situazione difficile. Volevamo tornare in Italia, ma lei ci disse “prima di decidere di tornare voglio portarvi a Broadway”. Ci portò a visitare la città di New York da lì non ce ne siamo più andati.

Che difficoltà avete affrontato?

Sono state tante; Il razzismo è stata una di queste ma quello che non capii era il razzismo tra noi italiani. Se eri appena arrivato dall’Italia chi era arrivato prima di te era il primo a discriminarti.

Quando hai capito che era il momento di intraprendere una tua attività?

Negli anni ’80 io e i miei fratelli capimmo che lavorare per altre persone non conveniva non ne sapevano di ristorazione e nei ristoranti italo americani avevano, , una cucina improvvisata. Aprimmo il nostro primo ristorante, il Sistina, scegliendo questo nome perché tutti gli Americani che avevano viaggiato avevano visitato la Cappella Sistina, e noi volevamo attirare proprio loro. Già i primi tempi ebbe molto successo grazie al boom del Made in Italy. Poi mia madre, che intanto si era trasferita negli USA, faceva la pasta fatta in casa davanti la vetrina del ristorante e per gli americani era sbalorditivo.

Vista la situazione difficile e la disoccupazione giovanile in Italia c’è un messaggio che vuole dare ai giovani che vogliano aprire un’attività di ristorazione?

I giovani devono capire che il nostro è un lavoro di sacrificio, di molte ore e impegno. Perciò devono chiedersi se vogliono realmente farlo . il mio consiglio è: se non senti l’emozione quando entri nel ristorante o nella cucina devi lasciar perdere perché a fine giornata quello che veramente decide la tua carriera è l’amore. La stessa cosa per un pezzo di arte; si dovrebbe comprare perché piace e dà un’emozione non per il desiderio di rivenderlo ad un prezzo più alto. Bisogna mettere l’amore in ogni cosa . Un ragazzo non dovrebbe pensare di fare questo lavoro per diventare famoso oppure per andare in tv. Per lavorare nella ristorazione non si dovrebbero fare gli stage nei ristoranti ma in campagna per imparare a piantare gli ortaggi e le verdure. Bisogna tornare alle basi della ristorazione perché è lì la vera conoscenza.

Invece quali step deve seguire un giovane ambizioso che vuole costruirsi il suo business negli Sati Uniti?

In passato abbiamo fatto delle sponsorizzazioni per portare dei ragazzi a New York ma non è stato soddisfacente. C’è bisogno di costanza e di volontà per migliorare ogni giorno. Ai ragazzi consiglio di studiare il libro di Marco Aurelio che diceva che per essere bravi nella vita bisogna conoscere se stessi. Ciò è fondamentale per capire se la ristorazione va bene per il proprio futuro. Molti giovani che avevano iniziato nella ristorazione si ritrovano dopo il covid-19 a lavorare come elettricisti o muratori. Alcuni non erano veramente innamorati di questo lavoro, altri non hanno avuto pazienza o fiducia. Io durante il lockdown non ho abbandonato la ristorazione ma ho iniziato a fare il pane e la pasta fatti in casa. Ho chiamato produttori di pasta da tutto il mondo e ho fatto un buffet di pasta al Sistina. In Italia ci sono tante difficoltà ma abbiamo delle caratteristiche innate e uniche; una tra queste è l’ospitalità. È stato osservato che i migliori maitres del mondo erano di Capri. Bisogna che i ragazzi sfruttino queste potenzialità per creare la loro attività.

Negli ultimi tempi il suo Sistina è stato la cornice della serie tv The Undoing-le verità non dette. Che aneddoto ci può raccontare durante le riprese?

Quando accettai mi dissero le loro condizioni e specificarono che Nicole Kidman era molto esigente. Mi chiesero un appartamento sopra il mio ristorante – il Sistina si trova in una palazzina storica e appartiene ai beni storici della città – perché lei dopo le riprese aveva bisogno di riposarsi. Inoltre, vollero la cucina del ristorante a disposizione per gli attori e la troupe e sempre Nicole Kidman venne in cucina elencando le cose che non mangiava. Al termine delle riprese mi ringraziò per l’ottimo cappuccino, per le uova che le erano piaciute e mi baciò. Rimasi di stucco perché pensavo fosse una persona molto snob. Questo dimostra ancora una volta che il cibo buono unisce le persone, mette a proprio agio e fa stare bene.


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