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I giovani hanno sempre più sfiducia nella classe politica italiana

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Culturalmente lontani, poco coinvolti nei processi decisionali, sfiduciati, a volte, disgustati dai giochi di palazzo. Così la politica diventa materia aliena per i giovani, con l’impegno per il bene comune appannaggio di pochi irriducibili, ma confusi, idealisti. E sembrano lontani secoli gli anni 60-70 e 80, quando questa vocazione permeava ogni aspetto della vita, privata e pubblica, dei ragazzi.

Secondo Federica Celestini, segretario del Consiglio nazionale dei giovani (Cng), ad allontanare le nuove generazioni dall’arte di governare sono stati diversi fattori. Innanzitutto «il crollo delle ideologie che rendevano la politica un sistema di valori di cui oggi non c’è più traccia». C’è poi «lo sconforto di fronte a quello cui si assiste: i governi che salgono e cadono, gli accordi di palazzo, lo scarso spazio loro riservato nonostante le tante promesse». Ma un ruolo non indifferente lo gioca anche «la mancanza di leader riconosciuti e riconoscibili che facilitino la costruzione di movimenti trasversali a livello mondiale». Senza dimenticare «la demonizzazione dell’avversario politico, diventato nemico da annientare». Sullo sfondo c’è, però, «la questione della cultura della partecipazione. I giovani non si sentono parte di una comunità. Da lì le scene degli aperitivi di Milano a inizio pandemia, con tanti ragazzi che definivano il virus un problema solo degli anziani».

E tornano in ballo la scuola e l’educazione civica. «Se fai domande elementari sulla politica agli studenti spesso non sanno risponderti – racconta – sotto questo aspetto il nostro Paese è molto indietro». Per chi voglia dire la sua su quel partito o quel politico ci sono sempre i social network, sfogatoio universale che ha svuotato le piazze. «Il confronto – spiega – è fatto di parole, sensazioni e gesti. I social hanno tolto voce alle piazze, ma si tratta soprattutto di un fenomeno italiano. In altri Paesi i ragazzi continuano a scendere in strada. Ed è giusto così: nascondersi dietro una tastiera o un profilo fake non è un buon modo per far sentire la propria voce».

Voce che per quei pochi appassionati arrivati al traguardo dell’elezione finisce con l’affievolirsi quando si varcano le soglie del palazzo, dove la capacità d’incidere trova l’ostacolo della real politik. «Chi entra nelle stanze del potere – commenta – tende ad accomodarsi. È una cosa che demoralizza». Rappresentare le istanze del mondo giovanile davanti alle istituzioni è uno dei compiti del Cng. «Siamo nati appena un anno e mezzo fa – dice – abbiamo partecipato agli stati generali dell’economia, avendo un lungo colloquio con il premier Conte. Alcune nostre proposte sono state riprese. Ma si potrebbe, e dovrebbe, comunque fare di più».

La promozione dell’impegno politico delle nuove generazioni e portato avanti anche dalla pagina social “La Voce dei giovani” fondata da due studenti universitari romani nell’agosto 2019. Francesco Bernardoni, cofondatore insieme a Eustachio Valente, lo definisce un progetto politico senza precedenti: riunire in un solo polo tutti i giovani, studenti e/o lavoratori che siano. «Eravamo stanchi di assistere alla scarsa considerazione riservata dalla politica al mondo giovanile e stanchi di lamentarci di quanto accade nei palazzi del potere, senza fare nulla di concreto per cambiare le cose» afferma Francesco. Fra gli obiettivi: riportare la Costituzione al centro del dibattito politico, economico e istituzionale; risollevare il Sud, senza il quale, sostengono, «non c’è Italia che tenga»; valorizzare merito e competenze.

Proprio la meritocrazia (insieme alla cultura) viene considerata come fondamentale per invertire la rotta di una generazione «infarcita di reality e che viene spinta a seguire modelli vuoti o a raggiungere ricchezza e successo senza sudarseli». Questo è il frutto di «almeno trent’anni di politiche che premiano i rampanti senza esperienza né meriti, purché popolari». Ne emerge una decadenza «socioculturale difficile da arginare». Certo, lo show della politica andato in scena durante la crisi di governo, non aiuta ad avvicinare tanti ragazzi alla politica. Francesco ne parla come di «uno spettacolo indegno, specialmente se si osservano le manovre di qualcuno per una manciata di voti in più». Dominano «sconforto e disorientamento» e i giovani che «già facevano fatica ad interessarsi alla politica ora la evitano ancor di più o la demonizzano in toto».

La passione non manca. Ma cosa ne sarà se, e quando, persone come Francesco ed Eustachio diventeranno politici di professione? «Pensiamo di poter essere diversi – risponde – perché già lo siamo come modo di pensare o di porci in relazione a determinate questioni della politica o della società: perciò abbiamo vita difficile e il nostro progetto fatica molto a decollare. Essere diversi, non significa che siamo sprovveduti e che non sappiamo o immaginiamo come funzioni il gioco. Solo chi vive sulle nuvole non sa quanto ci sia da lottare e da scegliere poi tra essere popolari ed essere coraggiosi».


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