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CON l’entrata in vigore del nuovo DPCM, all’ipotesi di una chiusura generalizzata viene sostituita ed applicata quella di un lockdown differenziato. Differentemente da quanto accaduto la scorsa primavera, questa volta sembra chiaro che il Governo non ha intenzione di prendersi la responsabilità di un secondo lockdown nazionale, probabilmente anche a seguito delle rivolte scoppiate nelle ultime settimane.

Dopo aver annunciato le nuove misure, il Premier Conte ha insistito tuttavia sul margine di autonomia delle diverse regioni, invitando le varie amministrazioni locali ad applicare provvedimenti mirati a seconda dei singoli territori. Questa deresponsabilizzazione da parte del Governo non sembra dissimile dalla modalità con cui le istituzioni centrali hanno operato sin dal principio della pandemia; nonostante in Italia non sia mai stato revocato lo stato di emergenza (col quale il Governo può accentrare anche relativamente alla sanità poteri normalmente riservati agli enti locali) Palazzo Chigi ha infatti fino ad ora preferito evitare un intervento coordinato a livello nazionale, affidandosi piuttosto alla discrezione delle singole amministrazioni.

La scelta di lasciare all’autonomia dei diversi governanti la gestione di situazioni allarmanti si scontra tuttavia con la riluttanza dei vari territori nell’applicare misure restrittive divenute impopolari. Basti pensare che, quando nelle scorse settimane il Presidente Conte aveva invitato i sindaci ad istituire zone rosse nei centri urbani, il sindaco di Milano, Beppe Sala, nonché il Presidente di Regione, Attilio Fontana, avevano subito negato l’ipotesi di un eventuale lockdown nel capoluogo lombardo, nonostante adesso la Lombardia sia stata inserita nei territori a rischio più elevato (zona rossa). Non si può dimenticare neppure quanto accaduto a Bergamo lo scorso marzo, situazione che non si è verificata in altre città del Nord grazie soprattutto alla scelta del Governo di applicare un lockdown nazionale, nello stesso periodo in cui a Milano le amministrazioni locali diffondevano lo slogan #milanononsiferma.

Le richieste dei sanitari di Milano, ormai in difficoltà nel gestire il carico dei ricoveri ospedalieri, si sommano a quelle delle altre zone italiane che, nonostante non siano state inserite nella lista delle aree critiche (è il caso della Campania), sollecitano misure sempre più urgenti. Insomma, l’inadeguatezza con cui il Paese si è preparato alla seconda ondata non sembra dunque corrispondere ad un cambiamento nella gestione della situazione epidemiologica, nonostante il progressivo peggiorare dei dati in Italia. Corriamo nuovamente il rischio che le decisioni del Governo arrivino troppo tardi, mentre misure restrittive tanto differenziate e blande potranno forse sortire ben pochi effetti concreti. A questo si aggiunge l’impatto sociale del DPCM, che alimenta inevitabilmente nei cittadini la convinzione, tanto reiterata nel periodo della riapertura, che il peggio sia passato. Minimizzando la gravità della situazione sanitaria, l’impressione di alcuni è che la mancata chiusura sia una vittoria. Per alcuni lo è effettivamente stata, per esempio per chi possiede una propria attività che, in mancanza di sussidi, non potrebbe permettersi di chiudere.

Questa situazione paradossale è la conseguenza della polarizzazione del conflitto sociale tra economia e salute, in cui la salvaguardia dell’una sembra adesso escludere necessariamente l’altra. Crogiolarsi in una apparente – seppur limitata – normalità rischia tuttavia di far aggravare in breve tempo la situazione epidemiologica anche di quelle zone ritenute a rischio inferiore. Al netto dei dati ufficiali, le mezze misure non sembrano poter scongiurare un collasso della sanità in quelle aree che, meno di altre, riuscirebbero a sopportare un ingente aumento dei casi. La realtà dei fatti pare essere una sola; fin quando non saranno predisposti meccanismi sanitari e infrastrutturali che consentano realmente di “convivere con il virus”, il lockdown sarà effettivamente l’unica soluzione efficace per la salvaguardia collettiva. Il meccanismo dello “scaricabarile” e la scarsa coordinazione nazionale non possono pertanto più essere la risposta del Governo davanti ad una crisi che è, tanto quanto sanitaria, sociale.

Il potenziamento delle varie forme di tutela non è rimandabile, né tantomeno può essere delegato a chi, già durante la prima ondata, non si è mostrato all’altezza. Il Governo dovrà assumersi la responsabilità di decidere, sperando che scelga di farlo prima che sia troppo tardi.


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